A Scorcola il tunnel segreto dell’ideatore dell’Olocausto

di GIOVANNI TOMASIN
Totenkopf. . La testa di morto appuntata sul cappello dell’uomo che scende le scale a chiocciola, entrando nelle viscere sotterranee di Trieste, non è soltanto un fregio. È l’essenza stessa della sua personalità, un vuoto, una nube nera che da anni si sposta per l’Europa lasciando dietro di sè una distesa di cadaveri. Siamo nella primavera del 1945, l’uomo che scende le scale si chiama Odilo Lotario Globocnik, Höherer Ss - und Polizeiführer del governatorato generale del Terzo Reich a Trieste, e sta scappando.
Ma questa è la fine della nostra storia, o quasi: riavvolgiamo il nastro e affrontiamola dall’inizio. Cominciando dal luogo, uno dei più tetri della nostra città. Siamo nel complesso conosciuto come “Kleine Berlin”, piccola Berlino, il sistema di gallerie sotterranee conficcato dai nazisti nel sottosuolo del colle di Scorcola durante la Seconda guerra mondiale.
Oggi è una piccola attrazione turistica, grazie alle affascinanti visite guidate organizzate dal Club Alpinistico Triestino. Il progetto del rifugio antiaereo risale al 1943 quando, dopo la caduta del fascismo, le forze germaniche occuparono il Nord e Centro Italia attraverso l’operazione Alarico. Per Trieste la calata dei tedeschi significò l’annessione diretta alla Germania, con la creazione della Operationszone Adriatisches Küstenland. Ovvero la Zona operativa Litorale Adriatico, un nome scelto da Berlino per solleticare le simpatie dei nostalgici dell’Austria Ungheria. Per molti triestini il ritorno di un Reich (poco importa fosse quello nazista e non l’imperial-regia monarchia) non rappresentava tutto sommato una notizia poi così sgradevole.
Arrivati a Trieste, i tedeschi si posero il problema dei bombardamenti, avviando i lavori per un rifugio antiaereo riservato alle loro forze armate e al personale annesso. Il cantiere partì a rilento, spiega il Club Alpinistico: in caso di allarme i soldati e i civili che lavoravano per i tedeschi nella zona del Tribunale si rifugiavano nella vicina galleria comunale. I pesanti bombardamenti alleati del 10 giugno 1944 portarono però a un’accelerazione dei lavori. Tre ditte inquadrate nella Todt, l’organizzazione che realizzava opere di ingegneria su tutti i territori occupati dal Reich, operarono simultaneamente sul cantiere, l’una all’oscuro dei progetti dell’altra. Il motivo di tanta segretezza? Ordini diretti del comandante triestino delle Ss, Globocnik. Torniamo così al centro della nostra storia.
Globocnik aveva preso residenza nella villa di Angelo Ara, dirigente delle Assicurazioni generali, in via Romagna. Proprio sopra al rifugio. L’ufficiale delle Ss fece costruire in gran segreto un collegamento che dal sotterraneo della villa penetrava nel tunnel e da lì gli consentiva di raggiungere il tribunale, sede del suo ufficio.
Per quasi due anni questo robusto energumeno in divisa passò come uno spettro nel sotterraneo utilizzando il passaggio segreto. Ma Globocnik non era uno qualunque tra le migliaia di ufficiali delle forze d’occupazione tedesche sparsi fra la Russia e l’Atlantico. Nato a Trieste nel rione di San Giovanni nel 1904, di famiglia slovena ma germanofono, era stato un militante della prima ora nel partito nazista austriaco, scalandone le gerarchie.
Dopo l’Anschluss del 1938 Globocnik fu nominato Gauleiter di Vienna da Adolf Htiler. In questa veste fu un feroce persecutore della resistenza cattolica al regime e dell’ala cristiana interna allo stesso partito nazista. Nel 1939 venne privato di tutti i suoi incarichi a causa di una speculazione sulle valute straniere che il Gauleiter conduceva parallelamente alle sue attività ufficiali. Degradato a semplice soldato delle Waffen Ss partecipò all’invasione della Polonia, rientrando velocemente nelle grazie di Heinrich Himmler. Il Reichsführer delle Ss lo nominò comandante delle forze di sicurezza nel distretto di Lublino. Da lì Globocnik diresse le operazioni per l’eliminazione della grande e antica comunità ebraica cittadina e di altri «nemici» del Reich.
Nel 1941 fu lui ad avviare le prime sperimentazioni delle camere a gas in vista della “Soluzione finale” e a costruire, su ordine di Himmler, il primo campo di sterminio a Belzec. Seguirono Sobibor, Maidanek, Treblinka. Nel complesso Globocnik fu complice dello sterminio di un milione e mezzo di persone. Nell’ambito dell’operazione Reinhard inviò forza lavoro schiavile alle fabbriche del Reich e sequestrò le proprietà delle sue innumerevoli vittime. Questo è il passato dell’uomo che nel 1943 Berlino decise di inviare nella sua città natale a capo delle Ss.
A Trieste “Globus” (il soprannome affettuoso che Hitler gli aveva affibbiato) portò con sé una schiera di volenterosi carnefici. Ideatore della Risiera di San Sabba, fu responsabile dello sterminio della comunità ebraica cittadina e della persecuzione degli oppositori sloveni e italiani al dominio nazista, sommergendo la città in un mare di sangue. Arriviamo così al 29 aprile 1945, giorno in cui Globocnik, di fronte alla doppia avanzata degli Alleati e degli Jugoslavi, lascia la città e si dirige verso la Carinzia. Si suiciderà alla fine di maggio in una malga alpina, prigioniero degli inglesi, ingerendo una pillola di cianuro.
Finita qui? No. Negli anni Ottanta qualcuno dichiarò che Globocnik era sopravvissuto, riciclato dai servizi alleati come il suo collega Klaus Barbie, il “boia di Lione”. Quella voce è stata poi smentita. Ma il fantasma di Globus, concittadino rimosso, continua ad aleggiare su una città in perenne amnesia quando si tratta dei suoi venti mesi nell’abbraccio del Terzo Reich.
©RIPRODUZIONE RISERVATA
Riproduzione riservata © Il Piccolo