Accusato di aver rapinato l’anziano vicino: assolto

Ma nel dibattimento emerge un’altra storia, fatta di emarginazione e disagio. L’uomo era stato trovato riverso sul pavimento di casa
Di Roberto Covaz

L’imputazione era di rapina e al termine del processo l’accusa (pm Ancora) ha chiesto la condanna a cinque anni e sei mesi di reclusione e 2000 euro di multa.

Ma l’organo collegiale (presidente Comez con Coppari e Rozze) ha assolto l’imputato. Accogliendo le tesi dell’avvocato difensore Laura Luzzatto Guerrini.

Il procedimento celebrato al Tribunale di Gorizia riguardava un’oscura vicenda accaduta in uno stabile dell’Ater nel quartiere di Straccis. Un anziano inquilino, nel frattempo deceduto, nel settembre del 2014 aveva denunciato F.C., residente anch’esso nella stessa palazzina, accusandolo di rapina dopo che era entrato in casa sua scassinando la porta d’ingresso.

Ma il processo, al di là dell’esito felice per l’imputato, ha fatto emergere uno spaccato nemmeno tanto marginale della società goriziana che merita di essere raccontato.

I protagonisti sono un anziano che vive da solo, in un alloggio in precarie condizioni igieniche, privo di sostentamento economico e che si nutre alla mensa dei frati cappuccini; il capo casa che per primo raccoglie la denuncia dell’anziano di essere stato rapinato ma che non vuole credere sia accaduta una cosa del genere; un altro inquilino, dirimpettaio dell’anziano, che non si è accorto di alcuna situazione anomala; una assistente sociale che, sollecitata dal capo casa, prende atto della situazione precaria in cui versa l’anziano.

Il quale, come ha sviscerato il dibattimento in aula, all’epoca dei fatti conosce una netta regressione delle condizioni fisiche e mentali.

Finché un giorno il capo casa chiama i vigili del fuoco perché entrino a casa dell’anziano che non dava segni di vita da un paio di giorni. I pompieri lo trovano riverso a terra, in fin di vita. Lungo ricovero all’ospedale, primo lento e debole recupero e poi un altro peggioramento.

Il capo casa si spende molto per aiutare l’uomo. E scopre che l’anziano, asseritamente nullatenente, dispone di settemila euro su un libretto postale e di un altro conto aperto presso una banca cittadina. Questi e altri elementi ritenuti oggettivi fanno ritenere che l’uomo non fosse in grado di discernere.

E che quindi la sua denuncia di essere stato rapinato fosse anch’essa frutto di un malessere mentale. Questa, in sostanza, la linea difensiva ben espressa dall’avvocato Laura Luzzatto Guerrini.

Per il pm invece, l’anziano quando ha subito la presunta rapina, era ancora in condizioni psicofisiche accettabile, dunque credibili.

Effettivamente si riscontrano segni di scasso nella porta di ingresso dell’abitazione del “rapinato”. Ma i segni sono visibili solo all’interno dell’appartamento. Per il difensore dell’imputato quel danneggiamento è stato conseguenza degli interventi di soccorso.

Accertato anche che l’imputato frequentava spesso la casa dell’anziano, in compagnia di un altro uomo. Insomma, i due si conoscevano bene: che senso avrebbe avuto scassinare la porta per entrare a casa dell’inquilino e poi derubarlo?

I processi sono sempre lo specchio della società in cui viviamo. Le motivazioni della sentenza spiegheranno meglio la decisione della corte. Intanto resta l’amara consapevolezza di quanta solitudine e marginalità connotino soprattutto la vita degli anziani.

Ma anche il conforto di sapere che ci sono persone, come il capo casa in questa vicenda, che si spendono gratuitamente per gli altri. Il capo casa ha nutrito l’anziano, l’ha pulito, ha attivato tutta la rete di assistenza, ha avvisato l’Ater di quanto stava succedendo.

Al termine del processo molto soddisfatta l’avvocato difensore che in qualche modo ha ereditato, dopo aver con lui condiviso lo studio, quella determinazione a schierarsi con i più deboli che è stata la cifra dell’avvocato Roberto Maniacco, deceduto nei mesi scorsi.

©RIPRODUZIONE RISERVATA

Riproduzione riservata © Il Piccolo