Amnesty: l’Ue si compatti per la verità

TRIESTE. Stallo diplomatico da una parte, depistaggi dall'altra. Ma i genitori di Giulio Regeni, come hanno confermato ieri nell’intervista al Piccolo, continuano la battaglia per la verità. E così fa anche Amnesty International.
E forse, se l'Europa si presentasse compatta, si potrebbe trarre qualche risultato più soddisfacente dall'Egitto. È su questo concetto guida che Antonio Marchesi, presidente di Amnesty International Italia, fonda la propria opinione.
Marchesi, dopo quattro mesi dalla scomparsa di Giulio si può ancora parlare di fiducia nella risoluzione del caso? C'è l'ottimismo e c’è la volontà, in un momento in cui ci siamo impegnati a portare avanti questa battaglia per la verità e non vi rinunciamo. Siamo in una fase in cui aspettiamo ancora con pazienza che arrivino delle informazioni più credibili dall'Egitto.
Avete appena divulgato una notizia rilevante: la vostra richiesta all'Ue di porre l'embargo sulla fornitura delle armi verso l'Egitto... Si, documentiamo l'esportazione nel 2014, 2015 e 2016 di armi dall'Ue - compresa l'Italia - all'Egitto, nonostante nel 2013 l'Ue avesse dato ordine di non esportarle. Molti Stati membri dell'Unione continuano a esportare sia armi vere e proprie per l'esercito egiziano che tecnologie di sicurezza e strumenti per la sorveglianza di massa.
Riteniamo che almeno questo debba cessare con un embargo sulla fornitura di certo materiale, che poi può essere utilizzato non solo per la motivazione ufficiale, che è la lotta al terrorismo, ma evidentemente anche per la repressione del dissenso pacifico.
Come evitare che cali l'attenzione sul caso Regeni, passati ora i primi mesi di forte tensione? Noi faremo tutto il possibile perché questo non accada. Bisognerà trasformare questa campagna di comunicazione in qualcosa di diverso: insistere sul fatto che il caso Regeni è speciale, ma che si inserisce in un contesto di violazione massiccia di diritti umani in un intero Paese.
Gli inquirenti egiziani hanno fornito da ultimo nuovi atti d'indagine agli italiani: ritenete che vi sia più collaborazione, o è l'ennesimo specchietto per allodole? Noi non siamo in grado di valutare se c’è maggiore collaborazione o se sia l'ennesimo depistaggio.
Quale peso hanno nella vicenda i rapporti geopolitici e internazionali fra Italia (e non solo) ed Egitto in questo caso? Hanno un grande peso. Se l'Egitto trovasse un fronte compatto a livello europeo, le speranze di ottenere qualcosa crescerebbero.
Se l'Egitto può sfruttare il fatto che soltanto l'Italia è impegnata perché è stato un suo cittadino a restare vittima di tortura, e gli altri Paesi si defilano, evidentemente Il Cairo può anche permettersi di tenere minor conto della risposta italiana. Se invece il Paese è spalleggiato da Francia, Inghilterra e Germania, allora l'Egitto si pone il problema in termini diversi.
Come giudicate l'azione del governo italiano fino a questo momento? Inizialmente è stata un po' timida, poi Roma ha dato delle risposte forti. L'importante è che arrivino poi quelle risposte proporzionate di cui parlava il ministro degli Esteri Parolo Gentiloni. Evidentemente, nel momento in cui l'Egitto continua a non collaborare, proporzionato significa che l'azione deve crescere.
Il nodo del nuovo ambasciatore designato rappresenta un modo per ricucire i rapporti dopo lo stallo dovuto al richiamo dal Cairo del precedente ambasciatore, seguito al fallimento del vertice del 7-8 aprile? Il fatto in sé no, poi vedremo. Se il nuovo ambasciatore torna al Cairo sì; ma se rimane a Roma può trattarsi anche di un avvicendamento del personale diplomatico, non è detto sia un segnale politico.
È d'accordo con i genitori di Giulio che chiedono di non rinviare al Cairo l'ambasciatore finché non ci sia verità? Sì, sarebbe un segnale molto sbagliato dal punto di vista diplomatico.
L'Egitto continua a tenere in cella il consulente legale dei Regeni e ieri ha espulso un giornalista francese: quale è la situazione dei diritti umani al Cairo? La situazione è pessima, anche recentemente ci sono stati arresti arbitrari, processi iniqui, imputazioni per reati vaghi, terrorismo, tortura: tutto questo è un fenomeno di questi mesi e non pare affatto migliorare. Inoltre le ong egiziane che difendono diritti e libertà sono nel mirino. Anche alla libera stampa non viene permesso di fare il suo lavoro lavoro. Chi rischia il carcere e chi l'espulsione... sono cose preoccupanti.
©RIPRODUZIONE RISERVATA
Riproduzione riservata © Il Piccolo












