Artigiani e commercio: no agli studi di settore «In Fvg il 6% delle aziende a rischio chiusura»

TRIESTE
Più che la sconfitta dell’evasione fiscale, gli studi di settore stanno portando al collasso le piccole imprese e nel giro di un anno circa il 5-7 per cento di quelle regionali potrebbe anche chiudere i battenti. Replicano così le associazioni di commercianti e artigiani alla provocazione lanciata dalla Cgia di Mestre che ha applicato gli studi di settore (in pratica il calcolo del reddito teorico che dovrebbe essere denunciato ai fini fiscali) ai lavoratori dipendenti, rilevando come – se fossero lavoratori autonomi - il 47 per cento dovrebbe dichiarare un reddito più elevato di quello di affettivamente percepito per essere considerato «congruo» dalle norme.


«Sono le isterie della politica – commenta Alberto Marchiori, presidente regionale Confcommercio – con un viceministro che parte dal presupposto che tutti gli autonomi sono evasori e quindi vanno aprioristicamente tartassati. Con questa logica il prossimo passo del governo sarà affidare un finanziere a ogni lavoratore autonomo per controllarne ogni passo». E sugli studi di settore il giudizio è ancor più pesante, dato che viene stabilito il reddito senza una effettiva verifica. Gli aumenti degli indici decisi da Visco potrebbero portare, secondo Marchiori, a una paralisi del sistema economico con una massiccia adesione ai ricorsi contro gli stessi studi di settore e una scelta di abbandonare il campo. Secondo la Confcommercio, oggi circa il 45 per cento dei lavoratori autonomi sarebbe considerato fuori norma.


«C’è poco da fare – è la conclusione – così non si lavora e l’alternativa è solo la chiusura. Chi accettava di pagare qualche euro in più rispetto al reddito per evitare le grane dei controlli, ora andrà deciso verso le verifiche. Ci sarà un gran da fare per finanza e agenzia delle entrate, senza contare i contenziosi che ne usciranno. Non penso poi che il decreto Barsani sulle liberalizzazioni possa portare migliorie su questo fronte, anzi». Non lo si dice, ma a questo punto il lavoro nero riceverebbe una nuova impennata. La lotta all’evasione, insomma, si tradurrebbe in linfa per incrementare la stessa evasione fiscale. Sulla stessa lunghezza d’onda gli artigiani della Confartigianato. Da Pordenone il presidente Silvano Pascolo parla di «danni causati degli studi di settore» e attacca il Governo di «aver tirato troppo la corda, uscendo da ogni logica di buon senso» venendo così bocciato nelle recenti elezioni amministrative. Un messaggio che va dritto alle prossime regionale del 2008.


«Anche Confartigianato – spiega Pascolo – ha commissionato uno studio su 6 mila imprese artigiane e il 70 per cento risulta essere al di fuori dei parametri di Visco. Magari bastasse una norma per alzare i redditi, purtroppo i mercati seguono altre strade e altre leggi». Basti pensare alla subfornitura (una delle caratteristiche dell’artigianato regionale), i cui margini sono risicati, o al trasporto, che ha prezzi bloccati dal 2004 ma i costi aumentati del 30 per cento tra gasolio e assicurazioni. «Abbiamo portato la protesta – continua Pascolo – ai massimi livelli, senza clamore, ma purtroppo anche senza risultati. C’è molto malessere anche per le promesse di rivedere l’Irap, abbattutasi come un ciclone sulle imprese e ora nessuno la vuole smuovere, salvo sotto le elezioni».


E in agguato c’è pure il rischio pensioni. Per evitare le noie degli studi di settore e delle grane fiscali, chi si trova alla soglia dei requisiti pensionistici opta per la cessazione dell’attività. Ma è dimostrato che di pensione ormai non campa più nessuno e chi è in forze certamente non può starsene fermo. Come arrivare a fine mese sarà per tutti dura, anzi… nera».

Raffaele Cadamuro

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