Centro Gasparini: ora la salvezza dipende dai Comuni

GRADISCA. Sopravvivenza prorogata almeno di un anno, sino a tutto il 2016. Poi si vedrà. Questo lo scenario che attende l'istituto di ricerca storica e sociale “Leopoldo Gasparini” di Gradisca, un'autentica istituzione regionale nell'indagine sul Novecento. Istituzione che però rischia il ridimensionamento se non proprio la chiusura. “Non piace” alle nuove normative regionali. Come ormai noto, dopo molti anni di ininterrotta presenza, il Centro Gasparini due anni fa è stato escluso dagli elenchi degli Enti culturali di interesse regionale. Finora l’Istituto è riuscito comunque a mantenere inalterata la sua attività editoriale, di divulgazione storica in appoggio ai comuni e di supporto alla didattica per le scuole, grazie al sostegno di tutti gli oltre 300 soci: «Non ci siamo arresi - rivendica il segretario del Centro, Dario Mattiussi - e in questi due anni abbiamo inviato complessivamente più di 1300 firme in Regione a sostegno dell’inserimento del Centro negli elenchi degli organismi ammessi ai piani triennali di finanziamento che dovrebbero partire dal 2017». Non è stata una battaglia inutile. Se le richieste presentate non sono state accolte, almeno è chiaro quali siano gli intendimenti dell’Amministrazione regionale nei confronti del Centro. «Purtroppo la Regione – spiega Mattiussi - a parte la possibilità di singoli finanziamenti legati a particolari progetti, comunque sempre incerti, come dimostra l’esperienza di questi anni, ritiene inutile in prospettiva il proseguimento dell’attività del Centro. Ci considera un doppione dell’Istituto di Trieste e anche del Consorzio culturale ronchese». Secondo l’amministrazione regionale, a finanziare l’attività del Centro dovrebbero essere i comuni in forma consortile o all’interno delle nuove Uti. L’ultimo consiglio direttivo del Centro ha deciso così di sondare la volontà dei comuni soci e di quelli comunque interessati in questi anni dall’attività del Centro per comprendere se siano interessati a mantenere in vita il Centro come strumento per la propria politica culturale e in caso affermativo in quale forma. «Dato per scontato che in questo momento quasi nessun Comune potrebbe destinare una percentuale fissa del proprio bilancio alla Cultura alla sua attività, il Centro ritiene che portare la quota di iscrizione annuale a 500 euro potrebbe essere uno strumento di sostegno più semplice – spiega Mattiussi -. In questa ipotesi al Comune di Gradisca, che attualmente ospita la sede del Centro, sarebbe chiesto di versare ogni anno una quota associativa o un contributo pari all’affitto richiesto in modo che non siano altri comuni a farsi carico dei costi della sede». In questo modo potrebbero essere raccolti gli ottomila euro all’anno di spese fisse (sede, rete informatica, costo macchina) e si potrebbero attendere gli eventuali finanziamenti regionali a progetto anno per anno. «È per ora solo un’ipotesi di lavoro che per concretizzarsi ha bisogno dell’adesione di almeno dieci comuni – prospetta con prudenza Mattiussi. Le adesioni di massima saranno raccolte entro il 22 marzo. Non dovessero esserci adesioni sufficienti, l’attività proseguirà comunque per tutto il 2016 e il direttivo comunicherà tempi e modi stabiliti per la dolorosa chiusura».
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