Chiesti oltre 5 anni per Monagheddu

Cinque anni e quattro mesi per il maresciallo Domenico Monagheddu, il principale imputato nel processo sui metodi di indagine adottati in alcune operazioni anti-droga dai carabinieri del Nucleo operativo radiomobile della Compagnia di Monfalcone. È questa la pena chiesta ieri dal pm Marco Panzeri al termine della sua requisitoria al processo in corso al Tribunale di Gorizia.
Un’udienza iniziata alle 9.30 del mattino e che è si è protratta sino a dopo le 15.30 e che ha visto la richiesta di condanna anche per gli altri imputati, in particolare altri due carabinieri del Norm di Monfalcone, Nicola Di Tria e Giuliano Giacobbi e per l’avvocato Alessandro ceresi accusato di favoreggiamento.
Per Di Tria il pm ha chiesto una condanna a 2 anni e sei mesi, 2 anni e cinque mesi invece per Giacobbi. Pesante anche la richiesta per l’avvocato Ceresi: 6 mesi di pena e 2 mesi di interdizione dalla professione. Al legale si imputa un caso di favoreggiamento nei confronti dei carabinieri del Norm di Monfalcone accusati a loro volta di aver condotto delle operazioni antifdroga in maniera poco ortodossa. A mettere nei guai l’avvocato sarebbero state alcune intercettazioni telefoniche anche se lo stesso avvocato avrebbe negato qualsiasi addebito.
L’udienza è stata rinviata al 15 luglio e in quella data oltre alle arringhe della difesa (tra gli avvocati Riccardo cattarini di Monfalcone) potrebbe arrivare anche la sentenza. Tornando al principale imputato, Monagheddu, per il quale il pm ha chiesto 5 anni e 4 mesi, in una precedentye udienza, rispondendo proprio alle domande dell’accusa, il maresciallo aveva riferito delle operazioni anti-droga effettuate, ritenute dall’accusa “poco ortodosse”.
Monagheddu aveva respinto qualsiasio addebito sostenendo di non aver agito mai in modo illegale e in alcune delle sue dichiarazioni era emerso in maniera chiara un rapporto difficile con il nucleo operativo di Gorizia. Il maresciallo dei carabinieri, attualmente sospeso dal servizio, aveva anche ricordato come gli fosse stata “bruciata” dai suoi superiori del Comandi di Gorizia una delle sue fonti. L’episodio risale a quando i carabinieri del nucleo operativo provinciale erano andati alla Fincantieri per ascoltare un operaio (Bruno Esposito) che era stato accompagnato al colloquio dal responsabile della sicurezza del cantiere. Esposito si era sentito “tradito” e da lì è partita la denuncia (era il 2009) al Comando provinciale dell’arma sui metodi di indegine adottati dal Monagheddu. Lo stesso Esposito era andato a lavorare a Fincantieri su interessamento di Moneghaddu che aveva bisogno di un “infiltrato”.
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