«Degrassi ucciso da altre tre persone»

Erano in tre, l’hanno avvicinato, chiamato per nome e costretto a infierire su un corpo forse già senza vita che aveva la testa fracassata da un vaso di fiori. Non sarebbe stato lui, quindi, a uccidere la notte del 19 gennaio dell’anno scorso in via Marco Polo a Monfalcone. Ma quei tre. La versione di Michele Carannante, il ventenne di Duino accusato della morte del trentottenne Riccardo Degrassi, ribalterebbe a sorpresa l’intero processo che lo ha visto, fin qui, l’unico indiziato. Il giovane, per la prima volta dopo un anno e mezzo di carcere, ha parlato. Difeso dall’avvocato Elisabetta Burla, ha risposto alla raffica di domande del pm Valentina Bossi nell’udienza in Corte d’Assise presieduta dal giudice Giorgio Nicoli. Innanzitutto sul suo stato mentale di quella notte: «Avevo bevuto dieci litri di birra - racconta in aula l’imputato - fumato canne e assunto altre sostanze». Una condizione che gli impedisce, oggi, di fare luce su tutta una serie di angoli bui. «Non so, non ricordo, ero drogato e ubriaco...», ha ripetuto al pm. Ma che, tuttavia, gli consente comunque di dare una descrizione abbastanza dettagliata su uno di quei tre che, stando alla deposizione di Carannante, sarebbero gli autori dell’omicidio. Gente che apparterebbe «a un giro di droga» del posto, gli stessi che l’avrebbero obbligato a colpire la vittima, con minacce, prima con un coccio del vaso - «ma mi sono rifiutato» - e poi con un bidone di plastica per la spazzatura. Sulla schiena, vicino alla testa. «Uno aveva un berretto nero, barba incolta, orecchini e un tatuaggio tribale al collo. Parlava con accento del Sud e mi ha chiamato per nome “Carannante vieni qua”, però io non lo conoscevo». Dunque l’imputato viene chiamato per nome ma lui non ha idea di chi sia l’interlocutore.
In aula c’erano anche i genitori del giovane. Con la madre che, in un gesto di tenerezza, in un momento di pausa si è avvicinata al figlio per abbracciarlo prima della deposizione. Le domande del pm procedevano a un ritmo incessante, tutte volte a capire cosa è accaduto quella notte. La vittima è stata aggredita mentre stava orinando e Carannante si sarebbe trovato lì, sfatto di alcol e droghe, nel posto sbagliato e al momento sbagliato. «Mi hanno obbligato, minacciando me e la famiglia - ha spiegato l’imputato - a frugare nelle tasche di Degrassi che era a terra e che io non avevo mai visto prima. Ho trovato 5 euro e un cellulare con cui mi hanno costretto a chiamare qualcuno che conoscevo. Io ho fatto il numero di una mia amica». Un modo questo, tenendo per buona la ricostruzione dell’indiziato, per addossargli la responsabilità dell’omicidio. E’ da quella telefonata che gli inquirenti sono risaliti a Carannante. Ce n’è poi una seconda, sempre dal portatile della vittima, e su cui il giudice ha disposto una perizia, diretta a un cellulare in uso a una ragazza che all’epoca frequentava il gruppo di cui faceva parte il presunto assassino. Di quella chiamata, partita inavvertitamente dalla tasca dell’imputato, restano solo alcuni fruscii registrati in segreteria telefonica. Dall’analisi emerge un rumore di “strofinamento”, che poco aggiunge all’indagine. Resta da chiarire ora se, dopo le deposizioni, si profila un nuovo filone dell’inchiesta per appurare chi erano quei tre personaggi emersi per la prima volta ieri in fase di dibattimento. In passato l’avvocato Burla aveva proposto una verifica, mai accolta, di foto con possibili sospettati.
Sentita, ieri, anche l’allora fidanzata di Carannante «Michele aveva graffi sulla mano e lamentava dolori al polso», ha ammesso. La prossima tappa è l’udienza del 19 settembre, in cui l’aula sentirà i medici legali della difesa e valuterà, inoltre, se far partecipare o no un teste che si trova all’estero. E’ uno degli amici che Carannante ha raggiunto quella sera dopo il fatto.
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