Ester in Antartide a caccia del clima perduto

«Le aree polari, e l’Antartide in particolare, sono regioni chiave per studiare la dinamica dei ghiacci, che ci aiuta a capire le modalità dei cambiamenti climatici. L’Antartide è ancora un ambiente incontaminato, in cui le risposte alle nostre domande non sono influenzate da inquinamento antropico».
Per Ester Colizza, ricercatrice del Dipartimento di Matematica e Geoscienze dell’Università di Trieste, nel quale insegna Geologia e Sedimentologia, l'Antartide è uno dei luoghi ideali per fare ricerca. Per questa ragione si è imbarcata per la quinta volta in una spedizione antartica: a bordo della Nave Cargo Oceanica Italica è partita, con i colleghi di altre Università e istituti di ricerca, dal porto di Christchurch, in Nuova Zelanda, un mese fa, alla volta del Mare di Ross e della base italiana Mario Zucchelli, che tramite Italica viene periodicamente rifornita di materiali e personale.
Nell'ambito della 31° Spedizione Italiana in Antartide la ricercatrice collabora col progetto Pnra/Holoferne del Cnr-Ismar di Bologna, che si propone di studiare le fluttuazioni climatiche avvenute negli ultimi 18mila anni e registrate nei sedimenti di fondo mare.
«La mia attività prevede la raccolta di campioni di sedimenti marini con vari strumenti - racconta la ricercatrice -: dal box corer, che recupera i 30-40 cm più superficiali, al carotiere, che penetra nel fondo fino a diversi metri. La finalità del progetto è di ricostruire le variazioni climatiche a breve scala dall’ultima espansione glaciale massima ad oggi. I risultati forniranno un contributo alla comprensione delle dinamiche di alternanza di periodi più freddi a periodi più caldi, informazioni utili per prevedere le future variazioni climatiche». Il materiale raccolto dalla ricercatrice sarà poi portato in Italia, stoccato al Sorting Center del Museo Nazionale dell’Antartide di Trieste, analizzato e studiato.
Come si è svolto il viaggio verso l'Antartide e la spedizione oceanografica?
«Il viaggio è stato difficile a causa di condizioni meteomarine avverse, che hanno influenzato la vita a bordo. Il 20 gennaio abbiamo superato il 60° parallelo, entrando ufficialmente nel mondo antartico. Quest’anno non abbiamo avuto problemi con la cintura dei ghiacci, che per la sua discontinuità ha lasciato un ampio varco all’entrata nel Mare di Ross, ma proprio per la mancanza di questo schermo il mare grosso ha continuato a perseguitarci anche all'interno. Durante il trasferimento abbiamo allestito i laboratori e sono partiti alcuni progetti, come l’analisi in continuo della CO2 dell’atmosfera e il lancio di strumenti a mare per raccogliere informazioni su alcune caratteristiche della colonna d’acqua. Nel Mare di Ross sono stati recuperati strumenti (mooring) per la registrazione delle masse d’acqua posizionati due anni prima, che dopo accurata manutenzione e riprogrammazione abbiamo rimesso a mare. Dopo una tappa meno semplice del previsto per scaricare materiale e personale alla base italiana Mario Zucchelli, il 24 gennaio la campagna è partita ufficialmente. Da allora si sono alternati i vari progetti: campionamenti di acqua, di organismi quali krill e pesci, ancora CO2 atmosferica, ancora mooring. Dopo essere tornati alla base italiana per recuperare il personale che doveva rientrare in patria, che si è imbarcato con noi, siamo anche riusciti, dopo numerosi tentativi, ad entrare nella baia di Cape Hallett per il campionamento di sedimenti».
Come si vive quotidianamente a bordo? E quali sono le difficoltà che si affrontano nei freddi mari antartici?
«Sulla nave siamo in una cinquantina di persone tra ricercatori, personale di bordo e medico. C'è anche un giornalista, che racconta la spedizione con un video-diario (su antartide.mondointasca.it). Il personale di bordo lavora ininterrottamente e anche noi lavoriamo in turni sulle 24 ore. In questo periodo dell’anno il sole è per lo più sopra l’orizzonte: c’è sempre luce e ciò crea qualche problema ai ritmi circadiani, per cui si dorme poco e male. Le temperature sono rigide ma non fa freddissimo: si aggirano sui -2/-5°C, con punte a -7/-8. Quando si lavora all’aperto siamo protetti da tute, guanti, berretti e scarpe grosse. Per il tempo libero c’è una piccola palestra e una sala con ping pong, calcetto e uno schermo per vedere qualche film».
La difficoltà più grande?
«L’inattività coatta dovuta al mare troppo mosso, che rende difficili i gesti quotidiani: muoversi, mangiare, dormire. A volte si ha la sensazione di essere su un tagadà e anche l’attività di ricerca ne risente, perché col mare mosso molti strumenti non possono essere posizionati. La nostra esperienza antartica ora sta volgendo al termine, il rientro in Italia è previsto per il 24 febbraio: sono felice, perché torneremo a casa con un bel po' di materiale da studiare».
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