Il Fvg nel mondo che corre
Nella sua prima realizzazione, quindici anni fa, l'economia globale aveva significato una nuova, radicalmente diversa, divisione internazionale del lavoro. Si era detto che noi Paesi sviluppati avremmo trattenuto la "conoscenza", cioè la parte più nobile e più importante dell'attività produttiva. E avremmo invece spostato nei paesi emergenti la parte meno qualificata (e più inquinante) dell'attività economica, cioè la produzione. Questa interpretazione - e la connessa ricetta che ne derivava per noi paesi europei - si trova consacrata nel cosiddetto "progetto di Lisbona" che nel marzo 2000 fu benedetto dai capi di governo dei 15 Paesi Ue. "Lisbona" rappresenta ciò che gli europei avevano capito della rivoluzione tecnologica e informatica che da metà anni '90 caratterizzava l'economia americana e che va sotto il nome di "economia della conoscenza".
Ne deriva l'enfasi sul capitale umano, sulla ricerca scientifica, sull'apprendimento durante tutta la vita (lifelong). Dieci anni dopo, qual' è il bilancio che possiamo fare? Tre novità importanti vanno sottolineate. Primo. Non è affatto vero che i paesi più sviluppati hanno "rinunciato" alla produzione industriale. Basta guardare ai dati sulla produzione di automobili in Inghilterra: nel Paese dove l'auto è nata se ne continuano a fare, e tante! Naturalmente, sono auto diverse da quelle di una volta e da quelle fatte altrove: c'è dentro molta più "intelligenza". Secondo. La "new economy" non è fatta solo di cose nuove, ma soprattutto di nuovi modi di fare le cose. E sempre meno caratterizza soltanto noi, vecchi paesi sviluppati. Il gap con i Paesi emergenti tende continuamente a ridursi perché anche loro stanno investendo molto in conoscenza e in nuovi saperi. Basta guardare a quanto stanno investendo in università e ricerca sia la Cina sia l'India.
Il mondo in cui viviamo oggi è davvero come Alice che tenuta per mano dalla Regina corre velocissima… per non andare indietro! Dobbiamo continuamente rinnovare ciò che già facevamo (non solo nell'industria, anche nell'agricoltura!) e ancora aggiungervi continuamente un po' di nuovo. Basta vedere i progressi che vari paesi europei stanno facendo nell'uso del carbone, che nella nostra memoria è sinonimo di cosa sporca, inquinante, pericolosa! E ancora serve guardare in quali settori l'America negli ultimi dieci anni ha realizzato i maggiori guadagni di produttività: è nei settori tradizionali! Terza, e ultima, novità: le preoccupazioni per l'ambiente! Quando un mese fa ho visto i dati relativi al boom dell'economia in Asia, ho finalmente capito come mai il nostro inverno fosse stato così poco freddo…
L'ambiente è sempre più globale e come tale richiede un approccio integrato che deve riguardare ogni attività umana e il relativo impatto. Ma il ragionamento va fatto per tutto: quanto inquina il "passante di Mestre", quanto inquina ciascuna fabbrica, quanto inquina la mobilità degli studenti, e così via. L'approccio di Kyoto ci costringe a ragionare con nuove priorità dovendo confrontare ad esempio il "danno" dato da un cementificio con il "beneficio" dato da autobus elettrici. E' buona politica anche questa: ragionare sui dati di ciascun problema e decidere in modo trasparente, tenendo informati i cittadini dei costi e dei benefici di ogni scelta.
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