ILLY E IL TALENTO DI QUEL 2003
Il Friuli Venezia Giulia è una regione dove il centrodestra in genere prevale. E dove la Casa delle libertà rappresenta una maggioranza sociale che non sempre riesce a diventare anche una maggioranza politica. Il centrosinistra, a sua volta, è un’ampia minoranza sociale che non poche volte riesce a trasformarsi in una maggioranza politica. I dati delle recenti elezioni parziali sono lì, sotto i nostri occhi, a ricordarcelo. Solo che c’è un problema: gli elettori hanno premiato il centrodestra dopo quattro anni di governo del centrosinistra. Dopo? O dovremmo dire: nonostante? All’indomani dell’ondata che portò Illy al vertice della Regione scopriamo che poco o nulla è stato scalfito di questo atteggiamento di fondo. È vero, questa tendenza attraversa il Nord. Ma qui il centrosinistra muove tutte le leve del governo. Che cosa ci racconta il risultato? Che lo spostamento di consenso che avvenne con Riccardo Illy non sembra sedimentato, diventando strutturale.
Anzi, il significato di queste amministrative è che il riflusso potrebbe essere cominciato con un ritorno del consenso verso la posizione originaria. Non c’è da stupirsi, quindi, che il governatore, di fronte a questo quadro incerto, prenda tempo. Deve valutare. Ma che cosa? Ecco il punto: se potrà vincere quasi da solo. Nel 2003 la vittoria del centrosinistra ha avuto molti motori che l’hanno spinta. Uno fu la sequenza di errori che il centrodestra commise, aprendo di fatto la strada all’affermazione di Intesa. Ma non fu solo il frutto dei demeriti altrui. Illy prese 356 mila preferenze contro i 250 mila voti raccolti dal centrosinistra, comprendendo al suo interno il 7,52% (oltre 37 mila voti) dei Cittadini. Il governatore trascinò un centrosinistra che non aveva sbagliato mosse, come quella sul referendum sulla legge elettorale. Ma lo trainò di forza. Le recenti amministrative hanno lanciato un segnale che andrebbe valutato.
Esistono ancora le condizioni politiche per cui Illy possa ripetere quell’operazione? Il leader di Intesa ha ancora la volontà, l’immagine per guidare il centrosinistra oltre i suoi confini sociali? E poi: il centrosinistra è ancora quello del 2003, compatto, abile giocatore di una partita difficile? Rappresentante del nuovo? L’ultimo anno elettorale si gioca attorno a questi interrogativi e attorno a come il centrodestra agirà sulla scacchiera del 2008. Visto retrospettivamente, è chiaro che nel 2003 il centrosinistra avrebbe dovuto far ruotare tutta la sua strategia attorno all’obiettivo di consolidare quel passaggio di consensi da uno schieramento a un altro. Avrebbe dovuto strutturare il ciclo elettorale che si era iniziato. Quattro anni dopo, invece, l’esito della partita è aperto. Dire che il centrosinistra sia per questo sul piano inclinato della sconfitta, sembra perlomeno prematuro. Illy sa il fatto suo.
Ma affermare che il clima politico del 2008 si annuncia simile a quello che si respirava nel 2003 sarebbe falso. In una intervista che pubblichiamo oggi, Bruno Zvech, segretario del partito cardine della coalizione, i Ds, spiega che il centrosinistra deve agire con compattezza e lavorare sul futuro programma. Dal punto di vista del centrosinistra, è un’agenda corretta. Ma non bisogna nascondersi che le chiavi della loro vittoria sono, ancora una volta, nelle mani di Illy. E molto dipenderà da come il governatore rileggerà questi anni, dalla interpretazione che darà di se stesso e della situazione. Si può pure affermare che il fatto che Intesa si trovi nelle medesime condizioni di partenza, vale a dire sia Illy-dipendente, sia il frutto di troppe omissioni. Il rapporto tra leader e centrosinistra è nato asimmetrico e tale finora è rimasto. Intesa dovrebbe riflettere seriamente sull’errore commesso nel costruire una maggioranza debole che riflette un leader forte, mentre un leader forte affiancato da una coalizione forte darebbe garanzie a entrambi.
Così come non aiuta sbagliare l’analisi della società, quando la percezione dei cittadini, il loro vissuto, non sempre coincidono con le narrazioni ufficiali, come ha efficacemente scritto ieri sul nostro giornale il professor Tellia. La cauta, ma decisa correzione di rotta di Illy sull’ambiente dopo alcune dichiarazioni inutilmente bellicose, sembra il segnale che il presidente non ha perso la capacità di leggere i segnali che la società invia. Egli sembra consapevole che deve puntare le fiches sulla sua figura di impolitico. Forse si chiederà se il suo appeal presso gli elettori sia ancora capace di colmare le lacune di Intesa. Dipende da come si posizionerà. Il voto di domenica scorsa è stato un voto «contro». Contro Prodi e il centrosinistra, persino di una parte del suo elettorato che si è astenuto.
In un contesto in cui il pendolo dell’elettorato oscilla, Illy e Intesa devono fare i conti con alcuni nodi decisivi. Il primo è che devono fronteggiare più uno «stato d’animo» sociale che una mobilitazione politica. Il modello, quindi, non può essere quello di una politica dirigista, distante, solitaria, impermeabile, forse più affine al tratto psicologico del governatore; ma quello di una politica che difende, che include, che tenta di scegliere sommando alla competenza (ma dov’era Viero nel pasticcio ambientale?) il defatigante confronto con la società. Lo stile di governo «conversante» è decisivo per trasmettere ai cittadini il senso del riconoscimento ottenuto, il sentimento di identificazione che deriva dal ricevere ascolto e che legittima un leader e una maggioranza. Dopo alcuni errori iniziali, proprio sull’ambiente sembrano maturare orientamenti che andrebbero rafforzati e resi più visibili. Una possibile differenza tra un governo di centrosinistra e di centrodestra sta nel punto in cui si colloca la sovranità.
Aprire un canale di comunicazione reale con i cittadini, riconoscere i loro diritti, la possibilità di accesso al processo decisorio, è una differenza che dà valore. Una partecipazione ben regolata non intacca ruolo e prerogative del governatore. Anzi può essere uno dei modi con cui Illy rimarca l’originalità che vorrebbe imprimere al suo «prodotto»: lontananza dai partiti. Che a rovescio si legge: vicinanza alla gente. Un punto delicato è costituito dalla questione territoriale. Nel 2003 Illy fece una mossa cruciale: l’accordo con Cecotti, il patto tra Trieste e il Friuli per cambiare insieme la Regione. Quel patto è stato spezzato e se ne vedono le conseguenze. Non perché Cecotti rappresenti tutto il Friuli o abbia un seguito elettorale rilevante, ma perché nonostante tutto il sindaco di Udine resta uno dei simboli ai quali i friulani guardano per giudicare la situazione. Se Cecotti, conclusa la sua esperienza amministrativa, andrà come in esilio, un pezzo di Friuli andrà in esilio con lui.
Stanziamenti e manifestazioni difficilmente danno credibilità. Illy è, e resterà, per loro un triestino. Ma è un triestino con cui hanno stretto un patto, che non riguarda posti o finanziamenti, ma qualcosa di più prezioso: il riconoscimento della differenza e il conseguente ridisegno della struttura regionale che, senza rompere l’unità regionale, dia valore ai territori e alla domanda di autonomia. Forse il centrosinistra dovrebbe ripartire da qui: dal recupero, dal restauro dello spirito di quel tempo. Ritrovandone gli interlocutori. Aggiungendone altri. Rinnovandone l’offerta. Rimasto «senza» Cecotti, il centrosinistra si muove come privato di una coscienza territoriale che faccia argine all’inconscio della centralizzazione. Ma questo asse dovrebbe significare che la Regione punta più di quanto non appaia in un progetto per Trieste capitale: tutte le regioni in crescita investono sul loro capoluogo, il Lazio, la Lombardia, il Piemonte. Non bastano gli interventi riusciti (ultimo è Fest), ma slegati tra loro, privi di una trama leggibile.
Quello che occorre è l’assunzione esplicita della guida del mutamento, d’intesa con il sindaco Dipiazza che ha l’ambizione di lavorare per lasciare un segno nella città, in modo da restituire a Trieste la sua grandezza. Ecco il punto nevralgico: tessere una tela di alleanze territoriali secondo una nuova geometria politica e di classe dirigente. Infine, il capitolo della modernizzazione. Illy ha chiara la cornice strategica, ma il problema è la sua traduzione in politiche coerenti che aprano il sistema regionale alla concorrenza, che riducano peso e costi della burocrazia, che trasmettano all’opinione pubblica l’idea che s’intende accompagnare la parte più ampia possibile del sistema a competere nel mercato globale. Questo lavoro è incompiuto. Non è emerso il volto di una modernizzazione, insieme più liberale e più giusta, più dinamica e più rassicurante, che abbia il perno nelle infrastrutture. Illy può rilanciare con forza su questo tema. Perché sta tentando.
E perché il centrodestra non ha dato segno di saperlo o volerlo incalzare davvero sulla necessità di modernizzare di più e più velocemente. La Cdl avrebbe varato la liberalizzazione del commercio? Forse presidente e coalizione devono riscoprire il talento del 2003. Comprenderne i ritardi, gli insuccessi, ma anche soppesare il bilancio delle realizzazioni da presentare per rinnovare un patto con i cittadini. Serve loro un’accorta regia: il posto sembra vacante, spetta a Illy impegnarsi. Un anno è breve. Ma in politica è un’epoca lunga.
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