LA BEFFA DEL FISCO
Marciare divisi per colpire uniti, fu la strategia grazie alla quale i Davide vietnamiti del generale Giap riuscirono a mettere in ginocchio il Golia americano nella famosa e interminabile guerra. Nell'altrettanto impari lotta contro un fisco italiano tanto vorace quanto inefficiente, i contribuenti sembrano aver distorto il concetto a proprio danno: marciare divisi per farsi colpire uniti. Anziché fare fronte comune per ottenere una riforma tanto promessa quanto ignorata, settori e categorie si scagliano l'uno contro l'altro, all'insegna del ”tu evadi più di me”. Intanto la macchina prosegue implacabile per la sua strada, accompagnando l'annuncio di nuove quanto inattese entrate all'aumento del carico impositivo. E sullo sfondo rimane, pressoché ignorata, una questione strategica: non quanto si paga, ma cosa si riceve in cambio. Che merce ci vende lo Stato con le tasse che riscuote? La risposta istintiva dell'uomo qualunque trova una recente documentazione in una ricerca commissionata da Confcommercio: i servizi che riscuotono il consenso più alto, scuola e sanità, incontrano il gradimento di appena tre persone su dieci; che scendono ad una per i trasporti, l'amministrazione pubblica centrale e periferica, la giustizia.
Nove italiani su dieci ritengono che la causa principale dell'altissima pressione fiscale sia dovuta a cattiva gestione e spreco di risorse. L'Istat offre un immediato riscontro: nel 2006 la spesa pubblica è aumentata di quasi l'8 per cento, il doppio rispetto all'anno precedente, superando la metà del prodotto interno lordo. E abbiamo appena appreso da un'indagine della Fondazione Nordest e di Demos che quattro nordestini su dieci arrivano a sdoganare l'evasione delle tasse, se si può: sarà anche scarso senso civico, ma come e cosa ha fatto il nostro fisco per meritarsi la cittadinanza onoraria di Nottingham? Comunque lo si consideri, il peso tributario è ribaldo. Lo è sulle aziende, come toccano con mano quelle del Nordest quando vedono nella confinante Austria la tassazione del reddito d'impresa ferma al 25 per cento, mentre da noi è la più alta d'Europa (37 per cento). Lo è per la gente comune: una famiglia monoreddito con due figli e 60mila euro lordi l'anno ne paga 19mila al fisco, contro i 4mila della corrispondente francese.
Sui bilanci familiari incide, e come, il costo medio delle imposte e tariffe locali: nella classifica nazionale, il Trentino-Alto Adige è al secondo posto, con una media annua a famiglia di 4.497 euro; il Veneto terzo, con 4.326; il Friuli Venezia Giulia settimo, con 3.883. Quello che lo Stato non prende direttamente, lo scarica sulle istituzioni periferiche: la finanziaria 2007, giusto per fare un esempio, ha tolto i blocchi alle aliquote, alzando il tetto dell'addizionale regionale Irpef fino allo 0,8 per cento. Abbiamo appena appreso dalle fonti ufficiali, non da un banchetto di raccolta firme antitasse, che la pressione fiscale ha raggiunto il massimo da dieci anni a questa parte, sfiorando il 43 per cento del Pil. Eppure la dispendiosissima e inefficiente macchina pubblica continua a ingoiare risorse perfino negli interstizi: per un atto pubblico non basta più una marca unica, ce ne vuole una ogni due pagine; il che significa che un documento di dieci pagine costa a chi lo presenta una settantina di euro. In compenso l'evasione continua a essere spaventosa quanto impunita; e anche di quella minima parte che viene accertata si riescono a riscuotere le briciole, poco più del 10 per cento. Non riuscendo a fare l'esattore efficiente, lo Stato rovescia l'onere della prova: è il contribuente a dover dimostrare di non essere un furfante. E tutto questo per avere cosa? Basta prendere un treno, andare a fare un accertamento medico, cercare di ottenere giustizia in un processo, mettersi in coda a uno sportello pubblico, per avere la risposta. Ma è qui che lo Stato si gioca la partita davvero decisiva: perché è stata la rivoluzione americana, non quella bolscevica, a fare leva sul concetto che non si pagano le tasse se non ci sono istituzioni che rappresentino davvero i cittadini.
Un fisco più leggero e meno iniquo, servizi più efficienti e rapportati al reddito: è su questo obiettivo che occorre costruire una grande alleanza trasversale tra politica e società, anziché attaccarsi a vicenda, se si vuole evitare il rischio di una vera e propria secessione degli italiani dall'Italia. Con la beffa, magari, che pure su quella ci mettano una tassa.
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