La minoranza si autosfratta dalla “casa” di via Valdirivo

“La prima scuola a Trieste che insegna la lingua slovena agli italiani” rischia di chiudere, o quantomeno di vedersi portare via la storica sede di via Valdirivo 30. Attivo dal 1970, il Centro multiculturale italosloveno ha ricevuto a novembre del 2015 la notifica dello sfratto, che è diventato esecutivo a partire dal 4 febbraio scorso. «Una scelta incomprensibile», fanno sapere dall’associazione culturale, anche in considerazione del fatto che la società proprietaria dell’immobile è la Dom Immobiliare triestina, una società per azioni che amministra gli immobili di una parte della comunità slovena. Una Spa che ha nella Podporno Drustvo Trzaska Matica, un’associazione di assistenza che ha sede in via San Francesco, il socio di maggioranza con l’86 per cento delle quote. Nelle prossime ore le due parti dovrebbero incontrarsi per definire la data entro la quale liberare i locali, anche se la speranza dei locatari è quella di raggiungere un accordo e di poter continuare a svolgere nell’appartamento di via Valdirivo la propria ultraquarantennale attività.
«Siamo indignati - fa sapere il presidente e fondatore del Centro Luciano Ferluga -. È in atto un tentativo di smantellare un lavoro costruito in tanti anni, prezioso e utile per l’intera città, sia per i cittadini italiani che per quelli sloveni. Negli anni abbiamo insegnato la lingua slovena a oltre seimila persone. Oltre cinquemila ragazzi, negli ultimi dodici anni, hanno inoltre partecipato ai cicli di proiezioni riguardanti la Shoah e la Resistenza». I 140 metri quadrati dentro i quali è nata e cresciuta l’associazione, oltre alle lezioni di lingue e alle proiezioni, ospitano un magma composito di numerose associazioni, come il Comitato pace convivenza e solidarietà Danilo Dolci e il Circolo Charlie Chaplin. Qui sono sorti il Comitato per la difesa della Costituzione e il Comitato “L’Italia sono io”, a tutela dei diritti degli immigrati di seconda generazione. Decine di associazioni cittadine che si occupano della diffusione della cultura della pace e della convivenza fra italiani e sloveni hanno trovato insomma la propria casa in questi spazi.
Proprio la volontà da parte dell’associazione di diffondere la conoscenza della lingua e della cultura slovena stride con uno sfratto che, in qualche modo, proviene da una realtà appartenete alla comunità slovena stessa. «Le nostre attività - prosegue Ferluga - le abbiamo sempre sostenute in autonomia, autofinanziandoci con i corsi di lingua e con le quote associative. Non abbiamo mai ricevuto un soldo di finanziamento pubblico e abbiamo sempre versato gli 800 euro mensili, anche a rimborso di un precedente compromesso su dei lavori di restauro che sono stati fatti nella stessa sede».
La storia della morosità indicata dai proprietari come causa dello sfratto, stando alle parole di Ferluga, non sembra reggere: «Alcune date dei versamenti si sarebbero sovrapposte - le sue parole - ma anche adesso che ci vogliono fuori dall’appartamento continuiamo a corrispondere gli 800 euro dovuti». Eppure gli avvocati delle due parti starebbero già concordando l’uscita dall’immobile. Alla proprietà, infatti, preme anzitutto sapere se ci sarà collaborazione da parte dell’associazione, oppure se dovrà ricorrere all’ufficiale giudiziario.
«La scelta di sfrattarci ci appare incomprensibile - così Ferluga -. Non ci meritiamo di diventare delle vittime sacrificabili dopo quasi cinquant’anni di intenso lavoro». Ferluga non si arrende e prova a chiamare a raccolta tutte le migliaia di persone che in questi decenni sono state vicine al centro culturale. «Stiamo raccogliendo le prime adesioni dei cittadini e delle associazioni che sono intenzionate ad aiutarci - la sua conclusione - . Siamo anche disposti ad acquistare l’immobile, per il quale ci siamo sempre accollati tutti i lavori di manutenzione, magari ricorrendo a un azionariato popolare che ci consenta di affrontare tale spesa».
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