La strage verde alla Cona riaccende le proteste

Condanna da Legambiente di Monfalcone: «Per il ripristino di quel bosco ci vorranno oltre 30 anni»
Bonaventura Monfalcone-20.01.2016 Alberi tagliati-Isola della Cona-Staranzano-foto di Katia Bonaventura
Bonaventura Monfalcone-20.01.2016 Alberi tagliati-Isola della Cona-Staranzano-foto di Katia Bonaventura

STARANZANO. «L’eliminazione dell’area boschiva e la radura a ridosso della Riserva naturale “Foce Isonzo” è un triste ritorno al passato ed è un pessimo esempio di gestione del territorio. Mentre la comunità scientifica e il mercato stanno discutendo sull’opportunità di abbandonare alcune pratiche intensive di sfruttamento dei terreni agricoli, prendiamo atto di questo cambio di rotta nella conduzione del patrimonio agrario». Una condanna ferma e decisa quella del Circolo Legambiente “Ignazio Zanutto” di Monfalcone, dopo la tabula rasa effettuata all’ingresso della Cona che continua a suscitare polemiche, per il taglio di una moltitudine di pioppi bianchi e salici con un’altezza media di cinque metri, distribuiti su un’immensa superficie di alcune migliaia di metri quadrati, fino a poco tempo fa rifugio dell’avifauna, di tante specie di uccelli migratori e stanziali. Un’azione determinata dalla fine dei contributi europei che mantenevano la zona a parziale rinaturalizzazione.

Ora per un eventuale ripristino del bosco ci vorranno più di 30 anni. «Abbiamo assistito negli ultimi mesi - sottolinea Legambiente - all’abbattimento di una moltitudine di alberi e di arbusti sui terreni a nord della strada provinciale 19 Monfalcone-Grado anche in località Villa Luisa. Si tratta di aree di un’importante azienda agricola, in alcuni casi anche all’interno del perimetro della Riserva che nei decenni scorsi, erano state appositamente dedicate al rimboschimento su iniziativa della precedente proprietà la quale aveva virtuosamente colto l’opportunità dei finanziamenti messi a disposizione dai precedenti Piani di Sviluppo Rurale per l’allestimento della cosiddetta “macchia-radura”, comprensiva di superfici a prato e di macchie o siepi arboreo-arbustive all’interno dei campi coltivati». Tali porzioni di aree agricole a parziale rinaturalizzazione, spiegano ancora gli ambientalisti, in base alla convenzione europea, sopperivano alla progressiva eliminazione, avvenuta in passato con l’avvento dell’agricoltura intensiva e della monocoltura, dei filari alberati, delle siepi e dei prati naturali, che orlavano anche i corsi d’acqua e costituivano importantissime zone di sosta e rifugio per la fauna selvatica, contribuendo a creare i cosiddetti “corridoi ecologici” per la salvaguardia della biodiversità, nonché rendendo più salubre, vitale e bello l'ambiente agricolo.

«Siamo consapevoli - affermano gli ambientalisti - che i suddetti finanziamenti prevedevano l’obbligo del mantenimento di alberi e arbusti solo per un periodo di tempo ben definito. Vista l’attualità sui cambiamenti climatici con l’agricoltura che rivendica il proprio ruolo anche nella gestione e tutela del territorio, è stato un errore l’eliminazione delle piante».(ci.vi.)

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