La Ue boccia il ricorso della famiglia Rasman
Caso Rasman, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha assolto l’Italia e ha dichiarato irricevibile il ricorso presentato dall’avvocato Claudio De Filippi per conto della famiglia del giovane morto nel 2006 durante un tentativo di arresto. Nel ricorso la famiglia aveva lamentato una serie di violazioni e - giudicando troppo mite la sentenza - aveva direttamente criticato l’inchiesta del pm Pietro Montrone.
Al contrario i giudici di Strasburgo - rilevando che nel ricorso non sono stati forniti elementi precisi per dedurre la pretesa non efficienza - ritengono equa la sentenza del giudice Enzo Truncellito - poi confermata dall’Appello e dalla Cassazione - che aveva condannato al termine del processo celebrato con rito abbreviato a sei mesi di reclusione tre dei quattro poliziotti imputati per la morte di Riccardo Rasman.
La condanna penale era stata inflitta per il reato di omicidio colposo nei confronti degli agenti Mauro Miraz, Maurizio Mis e Giuseppe De Biasi. Era stata prosciolta invece l’agente Francesca Biasi.
Nel 2015 il giudice civile aveva disposto con una sentenza esecutiva di condanna il risarcimento alla famiglia di Rasman per la somma di un milione e 200mila euro da parte del ministero degli Interni e dei tre agenti della Questura. Ma la famiglia si è appellata chiedendo 7 milioni di euro.
Va aggiunto che nei tre gradi di giudizio penale tutti i magistrati che si sono occupati di questa terribile vicenda hanno riconosciuto il pieno diritto e la piena legittimità dei poliziotti a fare irruzione nel monolocale di via Grego a Borgo San Sergio dal cui terrazzo Riccardo Rasman aveva gettato un petardo.
Ma l’errore tragico era stato quello di aver trattenuto troppo a lungo bloccata sul pavimento la vittima, esercitando sul torace una pressione che si era rivelata fatale. In sintesi Rasman non sarebbe morto se la pressione esercitata sul suo torace non si fosse protratta nel tempo. Quando i poliziotti avevano chiamato il 118 era troppo tardi.
L’ambulanza era tornata mestamente vuota al parcheggio ed era entrato nell’appartamentino Ater il medico legale. «Asfissia da posizione» avevano poi scritto nella perizia i medici Fulvio Costantinides e Giovanni del Ben. Secondo il loro elaborato, la tragica conclusione del fatto doveva essere attribuita a una serie di concause: in primo luogo al notevole sforzo muscolare sostenuto da Riccardo Rasman per opporsi all’irruzione degli agenti nell’appartamento, richiamati a Borgo San Sergio da alcune telefonate che attribuivano al giovane il lancio in strada di alcuni petardi. In secondo luogo alla sua stazza fisica, piuttosto corpulenta. In terzo luogo è stata determinante - avevano spiegato i medici legali nella loro perizia - «la posizione prona, con le mani ammanettate dietro la schiena e le caviglie legate, nonché con alcune persone poste sulla schiena». (c.b.)
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