L’AMICIZIA FLESSIBILE
La visita romana di Bush si è conclusa senza grandi tensioni. Un esito obbligato, nonostante le divergenze che hanno caratterizzato i rapporti tra i due governi da un anno a questa parte. E ciò nonostante l'irritazione americana per il ritiro dall'Iraq, per i limiti posti da Roma all'impiego militare dei soldati italiani in Afghanistan, per le frizioni sull’Iran. E per quelle sullo scudo missilistico, che ha sollevato le ire di Putin: nonostante tutto ciò, non è emerso, come ha detto lo stesso Prodi, «alcun problema bilaterale serio». Nonostante le speranze dell'opposizione, gli Stati Uniti non possono permettersi di irrigidire troppo il rapporto con l'Italia, Paese che con la sua politica estera autonoma ma non antiatlantica, permette al mondo occidentale di tenere canali aperti con Paesi e forze, dalla Siria al Libano, dall'Iran alla stessa Russia, che consentono all'amministrazione Bush di perseguire opzioni alternative quando le proprie mostrano dei limiti.
Così l'Italia ha contribuito in maniera decisiva a raffreddare la caldissima crisi israelo-libanese; così ha manifestato le sue perplessità sul progetto dello scudo antimissile, secondo Roma da decidere in sede Nato e non attraverso intese bilaterali con Paesi come Polonia e Repubblica Ceca; così prova a tenere canali aperti con Paesi che Washington ha collocato nell'Asse del Male ma appaiono decisivi nel tentativo di stabilizzare crisi come quella libanese. A sua volta Roma non può spingere la sua politica estera sino alla rottura con gli Stati Uniti. Non solo perché non lo vuole, ma anche perché si troverebbe da sola, persino in Europa, dove l'asse nascente tra la Merkel e Sarkozy, modifica sostanzialmente gli equilibri raggiunti nei tempi di Schroeder e Chirac. La decisione sulla base di Vicenza rientra, purtroppo, in questo quadro di realpolitik. Sebbene le diplomazie non possano ammetterlo, i due governi preferirebbero in riva al Tevere e al Potomac altri leader e maggioranze, ma devono fare buon viso a cattiva sorte.
Tenendo conto che tra poco più di un anno e mezzo Bush terminerà il suo mandato e che i precari equilibri politici in Italia potrebbero riservare delle sorprese. Nel frattempo «l'amicizia dissenziente» proseguirà: il Kosovo, cui gli americani sembrano tentati di riconoscere l'indipendenza fuori da un quadro Onu, nonostante la contrarietà di Mosca e il rischio che le tensioni balcaniche riesplodano, sarà il prossimo banco di prova. Il governo Prodi esce rafforzato da questa giornata: le dichiarazioni d Bush non consentono troppo margine di manovra all'opposizione. Berlusconi deve accontentarsi di una versione privata dell'antica diplomazia degli affetti, di visite in Sardegna e di promesse di collaborazione tra future «università delle libertà» e fondazioni. Nemmeno le due manifestazioni contro Bush hanno creato troppi problemi. Se la cosa era del tutto ovvia per quella della sinistra radicale, che ha civilmente manifestato il suo dissenso contro Bush nella dovuta assenza dei ministri di quell'area e in quella meno scontata di quanti erano attesi, maggiori timori vi era per quella dei no-war.
Nonostante gli incidenti provocati da una frangia di questo corteo, peraltro isolata dagli stessi leader antagonisti, non c'è stata alcuna replica di Genova o di Heligendamm. Se la giornata fosse stata caratterizzata da una situazione assai critica sul piano dell'ordine pubblico, difficilmente il governo avrebbe potuto reggere nei prossimi i passaggi parlamentari. In questa visita romana Bush ha incontrato anche Benedetto XVI. Il Vaticano ha manifestato le sue preoccupazioni per la situazione palestinese, che l'amministrazione americana continua a ignorare con tutti i rischi del caso e soprattutto per il silenzioso ma non meno preoccupante esodo dei cristiani dall'Iraq, passati in cinque anni da ottocentomila a seicentomila. Un esodo che mostra il fallimento dell'esportazione della democrazia manu militari.
La tutela delle minoranze religiose dovrebbe essere, infatti, uno dei primi cardini di una democrazia. In una situazione in cui il governo centrale ha altre priorità, i meccanismi identitari si sono estremizzati e il fondamentalismo islamico di matrice qaedista impone una sorta di pulizia confessionale nelle zone che controlla, le minoranze cristiane sono oggi in balia della violenza diffusa. Una situazione che dovrebbe ricordare a Bush gli errori commessi, molto più gravi della gaffe cerimoniale in cui è incorso rivolgendosi al Papa.
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