L’autobus di Federica viaggia a ritmo di rock

di LILLI GORIUP Anziani che si rifiutano di salire quando vedono una «donna al volante». Uomini nudi che, al contrario, vogliono prendere l’autobus in deshabillé. Coppie che traslocano con i mezzi...
Di Lilli Goriup

di LILLI GORIUP

Anziani che si rifiutano di salire quando vedono una «donna al volante». Uomini nudi che, al contrario, vogliono prendere l’autobus in deshabillé.

Coppie che traslocano con i mezzi di trasporto pubblico “imbarcando” armadi. L’universo quotidiano di Federica Sau, professione autista di autobus, riserva imprevisti, sorprese e un pizzico di follia. Ma nulla è in grado di distrarre la conducente dai lunghi capelli castani dal suo compito: condurre i passeggeri alla meta sani e salvi.

Federica, che per mantenere costante il livello di concentrazione non salta praticamente mai la sosta caffè «da Elena» a San Giovanni e «da Rossana o Micaela» a Valmaura, è un’autista per vocazione: da bambina costruiva autobus in miniatura con i Lego nella casa dei suoi genitori a San Giacomo. «A vent’anni mi scatenavo in discoteca sulle note della mia band preferita, i Fleetwood Mac, ma nel frattempo conseguivo le patenti di guida per autobus e camion» racconta con un sorriso. A trent’anni, poi, Federica faceva già da tutor a un collega accompagnandolo durante le prime uscite alla guida. Quel “novizio” è diventato il padre di suo figlio perché Federica, dopo il lavoro, ha trovato anche l’amore su un autobus: «Con Alessandro ci siamo conosciuti a bordo della linea 3. Abbiamo tanto riso». Ancora oggi, a 44 anni, la conducente che ama tradurre i testi delle canzoni dall’inglese si rilassa solo quando fa rombare un motore e guida la 39, la sua linea preferita, alzando il volume della radio quando passa una canzone rock. «Sono sempre stata un maschiaccio» se la ride mentre inizia il turno delle 06.50 sulla linea 17/. Ma rivela che gli inizi non sono stati facili: «Un anziano è salito sul mio autobus e, vedendo che il conducente era una donna, è trasalito ed è subito ridisceso come un gatto impaurito. Era una delle mie prime volte in strada». Federica ricorda che, quando ha superato il concorso pubblico per diventare autista della Trieste Trasporti, nel 2001, i partecipanti erano 60: «E le donne solo due. Siamo diventate la numero 6 e la numero 7 dell’azienda su 600 dipendenti. Oggi siamo quasi 40: come sono cambiate le cose in soli sedici anni».

Federica fa i conti con turni sempre diversi: oggi la sua sveglia è suonata alle cinque di mattina. Alessandro ha il turno del pomeriggio e quindi può accompagnare a scuola Luca, il loro bambino di 8 anni. Nel frattempo Federica ha già completato il primo giro, dalla stazione al capolinea di san Cilino e ritorno, e compila il foglio di via: «È la carta d’identità della linea. Indica quale vettura si sta usando, nome e cognome dell’autista, orari di uscita e di rientro». Ogni linea ha le sue peculiarità: la 10 e la 29 sono le più affollate in assoluto. La 9, all’alba, restituisce una cartolina inusuale di Trieste: «Le rive e il molo sono deserti, regna il silenzio, il sole sorge sul mare e, se la giornata è limpida, si vede il castello di Miramare stagliarsi sulle cime innevate. Poi inizia il via vai quotidiano e le immagini diventano ben altre».

Un’autista vede scene di ogni tipo. «I momenti peggiori sono quando si assiste impotenti a un incidente. Il lenzuolo bianco copre un corpo sull’asfalto e tu devi andare avanti dritto mantenendo la concentrazione» confida Federica. Non solo tristezza, per fortuna. «C’era una coppia che usava la linea 6 per traslocare: ogni volta che passavo per la loro fermata salivano con un mobile diverso. Un’altra volta, guidando la 34, ho visto un uomo alla fermata con strani pantaloni color kaki. Man mano che mi avvicinavo, mi son resa conto che era nudo, con solo un giubbino assai corto addosso. Inutile dire che ho tirato via dritto» continua l’autista che, a ogni capolinea, saluta il collega parcheggiato nella corsia a fianco. «Abbiamo anche i punti di ritrovo fissi: a San Giovanni c’è il bar di Elena e a Valmaura ce ne sono ben due, quello di Rossana e quello di Micaela. Sono donne meravigliose, al bisogno ci lasciano utilizzare il bagno senza consumazione».

La mattinata vola tra anziani che litigano su chi è più invalido per accaparrarsi un posto a sedere e passeggeri in vena di battute: «A che ora parte il bus delle 11?». Quando Federica smonta alle 13.25 e pranza nella mensa aziendale, l’aneddotica non si è ancora esaurita. Lei non ha solo la patente D ma anche la E e quindi è abilitata a guidare anche i “18 metri” ovvero gli autobus più lunghi in circolazione da non molti anni: «Non appena sono stati introdotti, c’erano passeggeri che scendevano per cambiare linea e risalivano dalla porta posteriore. “Ciò, de novo qua son?”, dicevano. Non erano abituati a mezzi così lunghi».

Dopo aver raccontato tanti, tantissimi episodi divertenti, teneri, buffi, strani, Federica ci tiene anche a sottolineare di non essersi mai trovata in una situazione di reale pericolo: «All’interno dell’azienda c’è un patto a tutela delle donne, per cui veniamo sostituire dai colleghi uomini, quando siamo assegnate a un turno notturno».

La giornata tra i motori, intanto, è finita. E ora ne inizia un’altra: quella di compagna e mamma. Il pomeriggio fila via tra l’uscita di scuola di Luca, il ricreatorio, l’allenamento di calcio e le quotidiane faccende domestiche. «Sono una mamma felice - racconta Federica - Luca è stato fortemente desiderato da entrambi. Sono fortunata perché, facendo lo stesso mestiere, io e Alessandro possiamo giostrarci i turni in modo da non dover ricorrere a baby sitter». Federica e Alessandro, una coppia fuori dagli schemi, «che non festeggia mai San Valentino. L’unico passato insieme è stato in sala parto: Luca è nato il 15 febbraio. Non potevo ricevere regalo più bello».

È già ora di cena. E, dopo il pasto, finalmente il relax sul divano. «Non siamo una famiglia che si chiude in casa. Vediamo molto i nostri fratelli e i nostri amici che hanno figli della stessa età. Adoriamo le scampagnate nella natura a piedi o in bicicletta». Le uscite però sono concentrate nel fine settimana: «In questo lavoro bisogna avere mille occhi e un livello di concentrazione costante. Io amo guidare: se così non fosse non potrei sopportare il livello di stress che il mestiere comporta. Come ogni autista ricordo perfettamente il mio primo giorno: ero terrorizzata dalla responsabilità che mi portavo sulle spalle. Dopo si impara come ad andare in bicicletta. Tuttavia rilassare la mente, alla fine di una giornata lavorativa, rimane fondamentale».

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