L’ELETTORE CHE SA PUNIRE

Benvenuti in Europa. Nelle interpretazioni che politici e osservatori hanno dato dei risultati delle amministrative di domenica scorsa non si è discusso a sufficienza, secondo me, di due punti importanti. Quanto è successo la scorsa settimana è un evento inedito nella storia elettorale del nostro Paese oppure no? E poi, i risultati elettorali di una settimana fa hanno origine in dinamiche comuni al resto dei Paesi europei oppure le scelte di voto da cui scaturiscono sono tipiche solo del nostro Paese? Va da sé che i risultati, se valutati in una prospettiva immediatamente politica, sono evidenti. Il centrosinistra ha perso e il centrodestra ha vinto. Credo però sia interessante anche farsi un'idea su come la prima coalizione ha perso e la seconda ha vinto, se non altro per sottrarsi ai molti commenti di questi giorni, il cui fine palese non è quello di capire come va il mondo, ma di cambiarlo in senso favorevole alla propria parte. Propaganda insomma.


Il primo passo per sfuggire alla propaganda di parte è fissare un punto. Le elezioni amministrative, come quelle regionali ed europee, vengono percepite dagli elettori come elezioni meno importanti di quelle parlamentari. Questo accade sia in Italia sia nel resto d'Europa. In Italia però, sino alla fine degli anni ottanta, le conseguenze di questo fatto erano diverse da quanto accadeva nel resto d'Europa. Nel nostro Paese la differenza di importanza attribuita al tipo di elezione aveva poco o nessuno effetto sulla scelta di voto. Gli elettori di quegli anni votavano infatti allo stesso modo sia alle comunali e alle regionali che alle politiche. In Europa invece già dagli anni Ottanta si manifestava un evidente ciclo elettorale in base al quale la partecipazione elettorale nelle elezioni di secondo ordine era sensibilmente più bassa di quella delle politiche e le scelte di voto degli elettori tendevano a punire il governo in carica. A parlare per primi di un ciclo elettorale tra tipi diversi di elezioni furono due studiosi tedeschi e il loro modello si applicava alla nesso tra elezioni europee ed elezioni politiche. Ma il loro modello funziona anche con altri tipi di elezione.


Poi negli anni Novanta anche il nostro Paese sembra essersi allineato alla tendenza europea. Nelle elezioni di secondo ordine, comunali, regionali ed europee la partecipazione tende a calare molto rispetto alle elezioni politiche precedenti per poi salire di nuovo nelle elezioni politiche susseguenti. In generale la coalizione che si trova al governo viene penalizzata nella fase bassa del ciclo di più che nella fase alta. Infatti nelle ultime elezioni regionali del 2005 la Casa delle Libertà andò male, anche nelle regioni del Nord nelle quali conservò la maggioranza. Il che alimentò sogni e speranze eccessive nel centrosinistra, come si vide poi nelle elezioni politiche del 2006. Che cosa ha provocato dagli anni Novanta in poi l'allineamento del nostro paese alle dinamiche di voto presenti in altri Paesi? Due elementi poco presenti nel comportamento di voto tradizionale della "prima repubblica". Da una parte la diffusione di orientamenti in base ai quali votare non è più sentito come un dovere civico.


Atteggiamenti per altro dovuti anche alla fine della obbligatorietà del voto. Dall'altra parte la crescente percezione che attraverso il voto si può anche esprimere una propria valutazione del governo in carica. Prima il legame tra elezioni e governo era di fatto inesistente. I governi nascevano e morivano per effetto di dinamiche talmente lontane dalle scelte elettorali, da essere percepite come indipendenti da queste. Dagli anni Novanta in poi il nesso tra governo e voto nella mente degli elettori pare più stretto che nel passato. Dunque un'elezione amministrativa è una buona occasione per dire a cuor leggero cosa si pensa del governo in carica. Un'occasione che afferrano sia gli elettori che a suo tempo lo votarono sia ovviamente gli elettori che non lo votarono nelle elezioni politiche precedenti. Di solito, se le valutazioni del governo in carica sono negative, i primi tendono prevalemente ad astenersi e in parte anche a votare per i candidati avversi. In particolare se il sistema elettorale consente loro di scegliere tra persone piuttosto che tra partiti. Gli elettori della coalizione all'opposizione sembrano invece più disponibili alla mobilitazione.


Le recenti elezioni amministrative si iscrivono in questa dinamica? Penso di sì. La partecipazione rispetto alle politiche precedenti è calata notevolmente. Hanno perso i candidati sostenuti dalla coalizione al governo. Hanno perso a causa del concorrere di due fattori. Una propensione maggiore degli elettori di centrosinistra a stare a casa e una loro limitata tendenza a deviare dal loro voto abitale verso il sostegno ai candidati di centrodestra. Sarebbe utile sapere con maggiori precisione le proporzioni dell'uno e dell'altro fattore, caso per caso. A titolo esemplificativo si possono esaminare i risultati di quattro comuni capoluoghi del Nord Italia, tutti collocati in aree non da oggi difficili per la sinistra. In tutti e quattro il sindaco di centrosinistra in carica è uscito sconfitto e quello di centrodestra ha ottenuto talvolta il doppio di voti validi del primo. Ebbene in tutti e quattro i comuni la partecipazione rispetto alle politiche è scesa di molto. In tutti e quattro i voti presi dal candidato di centrosinistra sono drammaticamente scesi rispetto ai voti dell'Unione nel 2006. In tre su quattro anche il candidato di centrodestra ha perso voti rispetto a quelli della Cdl nel 2006. In uno invece ne ha presi di più. In questo caso è del tutto plausibile che il candidato di centrodestra abbia attratto un importante flusso di voti proveniente da coloro che avevano votato nel 2006 centrosinistra.


Beninteso flussi di voto a vantaggio dei candidati di centrodestra sono probabilmente presenti anche negli altri comuni. Ma osservando i dati, l'ipotesi più plausibile è che in questi comuni abbia pesato di più la massiccia astensione dal voto degli elettori di centrosinistra. Difficile non pensare che il giudizio sul governo non abbia nulla a che fare. Anche se, non avendo come molti commentatori il dono di grazia di leggere nel pensiero degli elettori, non siamo in grado di capire su due piedi quali motivazioni siano state decisive. Certo è che domenica scorsa è accaduto a parti rovesciate quello che accadde nelle elezioni regionali del 2003 in Friuli Venezia Giulia e in tutte elezioni di secondo ordine della scorsa legislatura. Benvenuti dunque in Europa. Se Europa vuole dire normalità, stiamo diventando normali. Peccato che non se ne accorgano i nostri politici, i quali interpretano le elezioni di diverso ordine non come eventi concatenati in un ciclo, ma ogni volta come una battaglia nella quale pare in gioco il destino loro e del Paese.

Riproduzione riservata © Il Piccolo