L’EUROPA RICUCITA

Avanti piano, ma comunque avanti. È questa la sintesi politica del lungo, faticosissimo e interminabile vertice europeo di Bruxelles che ha visto per quasi tre giorni i 27 capi di Stato e di governo impegnati nella ricerca di un difficile compromesso su materie fondamentali per il futuro dell'Unione. I diversi punti di vista dei leader seduti intorno al tavolo rischiavano di produrre una rovinosa catastrofe sotto il profilo istituzionale. Per fortuna non è stato così, soprattutto grazie alla capacità di mediazione di Angela Merkel e della presidenza tedesca. Certo, gli euroentusiasti come Prodi e Zapatero hanno buoni argomenti per dirsi delusi.


Ma anche gli euroscettici più radicali come i vertici britannici e polacchi non possono cantare vittoria. Perché se volevano imporre la paralisi della Ue non hanno raggiunto l'obiettivo. L'Europa, insomma, ritrova il grado minimo di coesione per proseguire nel cammino intrapreso dopo il bruciante fallimento della bocciatura per via referendaria del Trattato costituzionale da parte di Francia e Olanda. Che si potesse fare di più è ovvio. Ma il vertice, viste le premesse delle ultime settimane, poteva anche produrre un disastro difficilmente rimediabile che avrebbe oscurato ogni prospettiva per i prossimi anni. E invece si continua nell'avventura. La prossima conferenza intergovernativa dovrà così affrontare tutti gli aspetti più rilevanti della riforma dei trattati attualmente in vigore. Una scelta che mette da parte la costituzione continentale, ma ne salvaguarda lo spirito. E non viene neppure seppellita per sempre l'idea di un ministro degli Esteri Ue.


Anche se chi sarà designato per ricoprire la carica avrà solo il ruolo di Alto rappresentante degli esecutivi nazionali, mantenendo comunque una personalità giuridica che alcuni volevano negargli. Dalla complessa, difficile, nervosa e serrata trattativa di Bruxelles emergono in eguale misura luci e ombre. A conti fatti, tra i punti qualificanti della defunta Costituzione che sono riusciti a sopravvivere ci sono una presidenza più stabile e autorevole, l'estensione delle possibilità di scelta delle decisioni a maggioranza qualificata e il rinnovato impegno a dare personalità giuridica all'Unione. I fallimenti più importanti riguardano invece le concessioni fatte alla Gran Bretagna riguardo alla Carta fondamentale dei diritti (anche se su questo punto, come era ampiamente prevedibile, pesava la distanza tra la "common law" inglese e l'impianto del diritto di altri Paesi), l'arretramento sul fronte della libera concorrenza imposto dai francesi e, infine, la parziale adesione alle richieste polacche in merito ai meccanismi di voto. Sotto il profilo politico le maggiori (e più sgradite) novità sono venute da Parigi e da Varsavia.


Nicolas Sarkozy, che pure si è presentato nei panni del coraggioso liberista e del riformatore alle recenti presidenziali, ha scelto una preoccupante continuità con la linea di Chirac, mostrando ancora una volta il Dna protezionista dell'Eliseo e chiedendo di cancellare il principio della libera concorrenza dall'articolo 3 del nuovo Trattato. Che ora finirà in coda, in un protocollo allegato, anche se manterrà valore giuridico. Sarkozy ha spiazzato tutti perché ha rimesso in discussione, almeno sul piano ideologico, uno dei due settori (l'altro è il commercio internazionale) in cui la Commissione di Bruxelles dispone di ampia autonomia.


Si tratta di un passo indietro preoccupante, che non depone a favore dell'effettiva volontà del leader francese di rompere rispetto al recente passato in materia di innovazione. Decisamente più inquietante è il caso polacco, perché a Bruxelles è riemerso ancora una volta l'ipernazionalismo di Varsavia, dove i gemelli Kaczynski (uno alla testa del governo e l'altro in carica come presidente della Repubblica) guidano una coalizione di partiti di matrice populista, che alimentano il desiderio di rivincita dell'elettorato nei confronti di Germania e Russia per mantenere il consenso. Per fortuna Angela Merkel è riuscita nella difficile impresa di mettere la sordina a una parte delle richieste polacche, anche se con ogni probabilità il problema non tarderà a ripresentarsi a breve. A conti fatti, dunque, il vertice di Bruxelles si è chiuso con un successo, sia pure di modesto respiro e con un accordo trovato sul filo di lana come accadde un anno fa in materia di bilancio sotto la presidenza britannica. Ora però serve un cambio di passo, a dispetto degli egoismi dei singoli esecutivi. Perché è chiaro a tutti che i membri della Ue saranno in grado di difendere i propri interessi vitali nel mondo del XXI secolo solo se l'Unione europea riuscirà a essere più forte e più autorevole sul piano globale. Mettendo da parte (o anestetizzando) le divisioni che pongono a rischio la solidità di un progetto ambizioso, che ha ormai mezzo secolo di storia alle spalle.

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