L’occhio della tv tra ciò che restava del castello di Nievo

di SERGIO CANCIANI

I terremoti fermano gli orologi ma non il cuore di chi ce l'ha. I furlani sono di poche parole ma di molto cuore. I segnatempo sui campanili attorno al castello di Colloredo erano tutti fermi sulle 9, il momento del grande botto.

«Ho sentito passarmi sulla testa un treno dalle mille ruote, il rombo disperato di un aereo senza bussola e senza luci che si è infilato in una caverna». Il signore della magione Stanislao Nievo, detto Stanis, erede del talento letterario dell' antenato Ippolito, parlava con immagini da scrittore qual era. Aveva praticato anche il cinema e quindi accolse con una certa ironica benevolenza la piccola troupe della RAI che con una modesta cinepresa 16 millimetri si palesò nella prima corte del castello senza suonare, senza bussare, attraversando la breccia nella muraglia di protezione crollata come se non avesse retto l' assalto di un' orda nemica.

Stanis stava ritto come un fuso in mezzo alle macerie in pantaloni stretti e maniche della camicia arrotolate all' inglese, a filo dei gomiti. Disse cose sentite a Gemona, Venzone, Bordano, Trasaghis, Osoppo, Montenars, Buja, in tutti i paesi violentati dal sisma. Elaborato il lutto dei morti, tutti alle carriole e alle ruspe per rimuovere i detriti e partire con la ricostruzione.

Niente retorica, ma lavoro e solidarietà. E così fu. Dalla casa contadina ridotta a scheletro al castello dei Nievo a Colloredo di Monte Albano con le sue 360 stanze, centinaia di merli, sette giardini a terrazza e un antico palo per la gogna che mai cedette alla vergogna e al treno dalle mille ruote che gli passò sopra.

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