«Nello sport più gioco e meno competitività»

Più gioco e meno competitività, ma anche regole da rispettare e far rispettare. A chiedere agli adulti un approccio più rilassato, ma allo stesso tempo serio nei confronti dell’attività sportiva sono i giovanissimi dell’Isontino. Attraverso il progetto “Educare con lo sport” la Provincia ha intervistato i ragazzi delle scuole realizzando poi - insieme a Forum Giovani, Arci Servizio civile e Banca di Cividale - un decalogo rivolto a genitori, allenatori e dirigenti. Il pieghevole “Sportivalbero” studiato dall’agenzia Crative graphic verrà stampato in 10mila copie per poi essere distribuito alle società sportive e nelle scuole primarie del territorio. «La responsabilità educativa dello sport si è persa di vista, invece è un elemento chiave – osserva Franco Santamaria , coordinatore scientifico del progetto insieme a Katia Boltelli -. Per i ragazzi la pratica sportiva non potrebbe funzionare senza gli adulti. Alcuni elementi emersi nella ricerca uno se li poteva aspettare, altri no. La richiesta di “piacere e divertimento” significa che lo sport deve essere gioco. Per un bambino il gioco è comunque un’attività seria: ha delle regole e dei ruoli da rispettare; c’è la socialità, ci sono le emozioni, c’è la delusione per la sconfitta o la rabbia per un errore commesso, ma ci sono anche il gusto dell’attesa e la gioia della vittoria. Attraverso lo sport si sperimentano le cose importanti per la crescita dell’individuo, non solo dell’atleta. È questa la responsabilità che tecnici, dirigenti e genitori hanno».
A differenza di quanto si potrebbe immaginare, competere per i ragazzi non significa agonismo esasperato. Puntare alla vittoria è per tutti (ovviamente) importante, ma non viene al primo posto. Almeno fino alla pubertà, in cima alla lista c’è la voglia di stare insieme, ma anche quella di “fare fatica”. «Con lo sport – dicono i ragazzi – capiamo cosa vuol dire impegnarsi facendo anche qualche sacrificio». Per chi gioca pulito, non ci sono scorciatoie; c’è solo l’etica del lavoro. Non sempre si ottengono i risultati migliori, a essere importante è però la consapevolezza di aver dato il massimo possibile. Per questo gli adulti devono da un lato mettere i giovani atleti nelle condizioni di poter gareggiare, dall’altro di poter anche perdere. Li devono aiutare a gestire le delusioni quando inevitabilmente queste arrivano. «Molti genitori – prosegue Santamaria – calcano la mano, ma i ragazzi hanno diritto a non essere campioni: le statistiche dicono che solo uno su 40mila diventa un professionista». «Gli allenatori chiedono sostegno ai pedagogisti e noi cerchiamo di dar loro delle risposte – sottolinea l’assessore provinciale allo Sport Vesna Tomsic -. Presto organizzeremo sul tema un convegno insieme al Coni e alle federazioni perché non vogliamo che i ragazzi abbandonino la pratica sportiva. Poi cosa vanno a fare?».
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