Ospedale-convento e l’edicola mariana dei Misericorditi nell’antica Piazzutta
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Non proprio il primo, ma quello a essere considerato il primo ospedale funzionale di Gorizia venne fondato in Piazzutta nel 1656 dall’ordine di San Giovanni di Dio, Fatebenefratelli o piuttosto austriacamente, Misericorditi, grazie all’elargizione di Vito Del Mestri, barone del Sacro Romano Impero, amministratore del Capitanato di Gradisca e iscritto tra i nobili patrizi degli Stati provinciali di Gorizia. Assieme all’ospedale, poco oltre il torrente Corno che allora segnava il limite occidentale della città, venne eretta anche la prima chiesa di San Vito e Modesto, dedicata inizialmente proprio a San Giovanni.
L’istituto polifunzionale comprendeva stanze per ammalati, una sezione per pellegrini e mendicanti e una stanza per il vitto ai poveri. Scrive Lucia Pillon in “Appunti per una storia sanitaria”, Isonzo-Soča n. 82-83, che «la struttura è messa a dura prova dall’epidemia del 1682: la peste, spettro della sanità d’allora e occasione, per medici e curanti, di dimostrare dedizione al ruolo e schiettezza della vocazione. Inizialmente l’ospedale serve anche da lazzaretto. Poi, quando il morbo infuria, lo si allontana dall’abitato per trasferirlo lungo il corso del fiume Isonzo, vicino al borgo rurale di Sant’Andrea».
Nel 1777, Giuseppe II d’Asburgo decretò la soppressione della gran parte degli ordini religiosi nell’Impero d’Austria, riconoscendo però l’utilità sociale dei Fatebenefratelli che a Gorizia rimasero attivi, perdippiù lasciando l’ospedale di Piazzutta divenuto canonica per la nuova struttura di palazzo Alvarez sull’odierna via Diaz, edificato grazie al lascito testamentario disposto dallo spagnolo Francesco Alvarez de Menesses, che a Gorizia morì nel 1753.
Dei Fatebenefratelli della Piazzutta, rimane traccia nella chiave di volta del portale della chiesa con l’emblema dell’Ordine, un melograno sovrastato dalla croce, con traccia rimasta anche del vecchio ospitale-canonica, demolita nel 1916 dagli obici per la conquista di Gorizia e ricostruita dopo la guerra dall’architetto Barich assieme alla chiesa, sopra il portone dell’antica casa di piazza Tommaseo 28, tristemente abbandonata come l’osteria Tacco della Lojzka lì accanto, nel bassorilievo gotico (XV-XVI secolo) che in origine si trovava sulla porta del convento-ospedale.
Un’immagine mostra sotto un arco trilobato, sostenuto da capitelli corinzi, la Madonnina della “Plazzuta” col bimbo in braccio, dietro il lumino che oggi non c’è più. In alto l’iscrizione “Ave stella matuttina” si collega con quella in basso “peccatorum medicina”, citando parte di un inno di Sant’Ambrogio (340-397), vescovo di Milano e dottore della Chiesa: «Ti saluto stella del mattino, rimedio ai peccati, sovrana e regina del mondo, degna di essere detta unica vergine. Contro gli intrighi dei nemici, poni lo scudo di salvezza, vanto della tua perfezione. O sposa di Dio eletta, sarai tu per noi la via retta alla gioia eterna». —
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