«Perso il lavoro, abitazione all’asta Vivo nei centri di accoglienza»

Dignità. E' questa, probabilmente, la parola che viene in mente più spesso quando ci si trova ad ascoltare le storie di uomini e donne che hanno perso la casa. Per definizione forse il bene più prezioso, salute a parte. Dignità e quel che esprimono quasi sempre persone che provano quasi vergogna a chiedere aiuto, vorrebbero riuscire a farcela da sole ma non possono, mascherano il dolore e la preoccupazione.
Dignità è soprattutto quel che chi non ha un tetto sopra la testa si è visto portare via, e chiede di riavere, cosciente in molti casi di avere un conto aperto con la vita, con una sorte che ha improvvisamente voltato le spalle. Tra le tante storie che si possono pescare di questi tempi nel mazzo della crisi e della disperazione, a Gorizia, c'è quella di Ilario. Il nome, si capisce, è di fantasia, perché anche lui, per dignità (eccola che ritorna) non vuole che la sua identità e il suo dramma diventino di dominio pubblico. Ilario da qualche anno ha scollinato la cinquantina, ed è uno di quei goriziani che si è visto crollare il mondo addosso con l'arrivo della crisi. Impiegato in un'azienda del territorio, da un giorno all'altro ha perso il lavoro, e la sua vita è cambiata per sempre.
«Lo ricordo come fosse oggi - dice, con parole lente e pesate, nell'evidente tentativo di trattenere rabbia e commozione -. Era il 2010, e dopo una vita di lavoro mi sono ritrovato a casa, disoccupato. Una cosa terribile per tutti, ma soprattutto per chi, alla mia età, non ha certo molte occasioni di ricollocarsi». Il peggio, però, doveva ancora venire. «Senza più uno stipendio non sono riuscito a pagare le rate del mutuo della mia abitazione - racconta ancora Ilario -, e così ben presto sulla casa mi è stata messa un'ipoteca. E alla fine l'abitazione è andata all'asta, venduta a basso prezzo. Non ho più in mano le chiavi di casa mia da tre anni». Da allora Ilario è stato ospite di alcune strutture di accoglienza della città, ma tra qualche settimana questa possibilità non ci sarà più. «Cosa farò? Non ne ho la minima idea - dice l'uomo -. Se non riuscirò a trovare una casa sarò su una strada. Ma la verità a giorno d'oggi si è soli: io non ho famiglia, i miei genitori sono morti e le istituzioni non riescono a darmi una mano. Alcuni amici provano a starmi vicino ma non possono fare miracoli: dopo una vita di lavoro, tasse pagate e contributi alla società, adesso vengo trattato come uno che non ha più alcun diritto». Tutte cose, storie e situazioni che conosce fin troppo bene don Alberto De Nadai, storico fondatore della Comunità Arcobaleno (con la quale ha collaborato fino a qualche anno fa) e sempre pronto ad accogliere in casa sua i bisognosi. «Le persone senza una casa sono purtroppo sempre di più, e io stesso sto ospitando al momento un uomo per il quale, da dicembre ad oggi, non si riesce a trovare una soluzione - dice -. Un po' ovunque per ottenere un contratto d'affitto è necessario avere una garanzia, ovvero un lavoro fisso. E al giorno d'oggi ad avere questa garanzia sono in pochi, pochissimi. Anche le case popolari hanno dei limiti, che andrebbero superati. Mi rendo però conto anche dei problemi di chi affitta: capita che gli ospiti non rispettino la casa che viene messa a disposizione, danneggiandola, o che una volta entrati non la vogliano lasciare più. Insomma, è una situazione ancor complessa di quanto si possa immaginare».
Marco Bisiach
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