PORTO, SI PUÒ FARE DI PIÙ

Ora che l'entusiasmo corale per l'intesa raggiunta sul Porto Vecchio lascia spazio alle analisi sui contenuti concreti, emergono molti buoni motivi per cantare fuori del coro, e dire che l'accordo rappresenta un compromesso deludente. È ben vero che per la prima volta si è trovata un'intesa istituzionale e (forse) si è smesso di esercitare azioni contrapposte che per trent'anni hanno prodotto lo zero assoluto, e questa è certo una buona notizia. È ben vero che finalmente (forse) si comincerà a metter mano al recupero di un'area incantevole. Il cui squallido degrado rappresenta un'autentica vergogna per l'intera classe dirigente della città. È ben vero che s'intravvede una strategia complessiva per lo sviluppo del porto, come il progetto di collegamento con Fernetti evidenzia: per i porti moderni, quel che sta dietro è molto più importante di quel che sta davanti. Ma si poteva fare di più. Alla resa dei conti, l'identità dell'area pur ristrutturata rimarrà quella attuale: uno spazio demaniale destinato ad ”attività portuali allargate” (con tutto il carico di ambiguità della definizione), precluso alla città dalla cinta doganale e quindi sostanzialmente da un confine, e la cui effettiva riapertura consisterà in un paio di passerelle percorribili come allo zoo, guardare ma non entrare.


Non è solo che i cittadini non potranno abitarci, previsione in sé più che giustificata. Non potranno frequentarlo proprio, né transitarvi né passeggiarvi, vanificando la possibilità stessa dell'esistenza di spazi di servizio aperti a tutti. Quel che i commercianti, con il pragmatismo che è loro proprio, hanno capito al volo: che ci andiamo a fare in un quartiere in cui si entra esibendo la carta d'identità, e solo per fondate ragioni? Il porto vecchio sarà un'area per chi vi lavora, o (speriamo almeno) vi studia nell'ambito degli spazi destinati alla formazione. Insomma, non si riapre un bel nulla. Va dato atto a Boniciolli di aver perseguito dal principio una strategia chiara e coerente: lo scalo resta scalo, ha detto, e questo ha fatto.


A posteriori, era forse ingenuo attendersi da lui qualcosa di diverso: Boniciolli è uomo di porto e di porti, sa come farli funzionare, mira allo sviluppo dell'attività marittima, in cuor suo dev'essere scettico sulla possibilità di ampliare lo scalo in direzione ferriera, e ben difficilmente si sarebbe prestato a liquidare spazi portuali amputando se stesso. Con questa scelta fa una scommessa limpida, ma rischiosa: rivitalizzare il porto vecchio mantenendolo all'attività marittima, sia pure con una ”riverniciatura” di nuovo. Quel che è stupefacente non riguarda Boniciolli, ma il totale rovesciamento di linee e posizioni politiche che ne ha accompagnato l'operato. Per decenni la vulgata politica e del pubblico dibattito cittadino ha attribuito al centrodestra, e in particolare agli eredi della Lista per Trieste (in primis a Giulio Camber) la responsabilità della mancata riapertura del porto vecchio, che nella visione della parte politica andava ristrutturato ma mantenuto a porto, valorizzandone le franchigie; mentre il centrosinistra ha costantemente propugnato la restituzione del vecchio scalo alla città, in linea con quanto fatto - e con brillanti risultati - dalle più innovative metropoli mondiali, da Barcellona a Boston a Londra: erano gli anni di ”Trieste futura”, dei progetti di Calatrava, delle passeggiate in porto vecchio che gridavano la volontà di abbatterne le mura, simbolo di una Berlino separata da se stessa.


Oggi il mondo s'è girato a testa in giù. Marina Monassi, predecessore di Boniciolli, fu molto criticata per le sue amicizie politiche e affettive. Ma se stiamo agli atti e alle delibere, il Comitato portuale da lei presieduto, e controllato dal centrodestra, aveva creato le premesse per lo smantellamento del porto vecchio e la riapertura alla città: di fatto, in quegli anni e anche grazie alle aperture di An e di Dipiazza, il centrodestra aveva dato ragione al centrosinistra, riconoscendo il proprio passato conservatorismo. Oggi tutto s'inverte, e il centrosinistra dà ragione al centrodestra: il presidente del porto che i Ds avevano proposto a sindaco spinge le istituzioni a un accordo urbanistico che mantiene il porto a porto e non smantella alcunché, costringendo gli stessi Ds a dire che in fondo l'accordo non è male, e che non si può sempre protestare a ogni cosa fatta. Avesse siglato la Monassi un piano del genere, sarebbe stata crocifissa. Boniciolli si sta muovendo con grande dinamismo e capacità, stringendo importanti rapporti internazionali, promuovendo lo scalo all'estero con un disegno organico mancato in passato.


Di certo i traffici ne beneficeranno, e andrà a suo merito. Ma sul porto vecchio è circondato da un paradosso. Dovesse la sua scommessa non riuscire, avremmo pregiudicato lo sviluppo della città per altri trent'anni. Dovesse riuscire, darebbe ragione ai suoi oppositori politici che per i trent'anni precedenti avevano avversato la liquidazione del vecchio scalo.

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