Qui Görz-Gorizia, il secolo senza pace della città marmellata

Crogiolo di culture e nazionalismi fino al ’14. Troppo leale verso Vienna per poter essere capita fino in fondo dall’Italia
Piazza Grande a Gorizia nel 1914
Piazza Grande a Gorizia nel 1914

Per tre volte Francesco Ferdinando ha visitato Gorizia, la città cara all'imperatore Francesco Giuseppe per la cristallina lealtà verso Vienna. L'erede al trono ci viene da bambino al seguito della madre, arciduchessa Maria Annunziata, figlia del re di Napoli Ferdinando II. La donna è di cagionevole salute; niente di meglio che svernare nella cosiddetta Nizza austriaca, come dal 1870 è battezzata la vecchia e cara Görz. Clima mite, ottimamente servita dalla ferrovia meridionale, in equilibrata ed elegante espansione urbanistica caratterizzata da splendide ville in stile secessionista e dotata di confortevoli alberghi, Gorizia accoglie centinaia di altolocati viennesi, per lo più freschi pensionati statali benestanti in fuga dai rigori austriaci. Anche se, come scriverà Ernest Hemingway in Addio alle armi, a Gorizia può capitare nevichi già a ottobre.

La seconda volta che Francesco Ferdinando raggiunge Gorizia è per soggiornare nella villa Siller, sulla via di Salcano; l'edificio sarà raso al suolo durante la Prima guerra mondiale; Salcano passerà alla Jugoslavia dopo la Seconda guerra mondiale. Ecco che la guerra si fa cancellazione. Ma la sortita goriziana più importante dell’arciduca avviene il 19 luglio del 1907 per l’inaugurazione della linea ferroviaria Transalpina. Il Regno d’Italia, alleato in quel momento all’impero austroungarico, osserva con attenzione, financo con sospetto, lo sviluppo dei collegamenti ferroviari tra l’alto Adriatico e Vienna. Non sfugge nemmeno ai più sprovveduti tra gli osservatori che quella strada ferrata può diventare un formidabile strumento bellico essendo una via diretta per quello che già allora si intuisce possa evolversi in linea di fronte nel caso di un conflitto austro-italiano. Gorizia è una città marmellata di culture e nazionalismi, seppure si viva sostanzialmente in relativa serenità. Al governo, dal 1860, dopo l’amministrazione del cattolico Doliach, ci sono i liberalnazionali, espressione della borghesia italiana. Ma si sta formando un’altra borghesia: quella degli sloveni. Una latente maturazione del desiderio di appartenere in un prossimo futuro a quella nazione slava modellata dai primi rigurgiti ungheresi determina l’arrivo a Gorzia di molti sloveni provenienti dalle valli dell’Isonzo e del Vipacco. Tra sloveni e italiani tuttavia si erge una barriera di incomunicabilità sempre più spessa. Gli sloveni, al pari degli italiani, istituiscono scuole, circoli culturali e sportivi, centri economici e istituzionali. Edificio simbolo è il Trgovski dom, che sarà incendiato dai fascisti.

La classe culturalmente dominante è quella tedesca. Si tratta di alti funzionari dello stato, benestanti, i quali in qualche modo stimolano l’arrivo in città di altri tedeschi e austriaci provenienti in particolar modo dal Tirolo meridionale. Fioriscono alberghi di lusso, strutture turistiche tra cui il collegamento ferroviario tra la città e l’altopiano di Loqua.

Ma non è tutto oro quello che riluce. Ai margini della Nizza austriaca popolata da eleganti uomini in frac e da dame imbellettate si sopravvive a stento in un sottobosco di miseria e di pessime condizioni igieniche il popolo. Quello stesso popolo che di lì a pochi anni resisterà alle granate prima italiane e poi austroungariche rintanato, assieme ai topi, nelle cantine. Periferia significa contado ed è nel contado che matura, negli anni immediatamente precedenti al conflitto, una delle pagine più importanti della storia sociale dell’ex Contea di Gorizia e di Gradisca. Merito - ma nel dopoguerra verrà letto a demerito dalle autorità italiane - del clero goriziano, lealista verso gli Asburgo, che trova nel giovane prete don Luigi Faidutti (poi presidente della Dieta provinciale e parlamentare a Vienna) il creatore delle casse rurali e delle opere di assistenza. A beneficiarne sono soprattutto gli agricoltori per la gran parte friulani.

Solo pochi chilometri più a sud-ovest, laddove la terra è bagnata dal punto più settentrionale del mare Adriatico, sta nascendo il cantiere navale dei fratelli Cosulich. Prima è stato scavato il canale Dottori che prende l’acqua dell’Isonzo a Sagrado e abbevera la campagna bisiaca, nel frattempo bonificata. Ecco che le accresciute potenzialità economiche del Monfalconese portano, già allora, a pepate polemiche con i goriziani. Sul Carso monfalconese nei primi giorni di giugno del 1915 si scateneranno le prime avvisaglie di quelle che passeranno alla storia come le dodici battaglie dell’Isonzo, portatrici di un carico di morte spaventoso. Già, dodici o undici battaglie dell’Isonzo? Domanda aperta perché ancora oggi quella che per l’Italia è la disfatta di Caporetto dall’“altra parte” resta il miracolo di Caporetto. Dall’ottobre del 1917 a oggi c’è in mezzo un Novecento impossibile da archiviare del tutto in una sincera condivisione. Una città troppo leale a Vienna per essere compresa e amata fino in fondo dall’Italia.

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