Schengen, un addio che costa 1400 miliardi

Dogane ripristinate, in 10 anni su del 3% tutte le merci importate
Se Schengen dovesse sparire, questo addio potrebbe costarci 1400 miliardi di euro
Se Schengen dovesse sparire, questo addio potrebbe costarci 1400 miliardi di euro

MILANO. Addio Schengen? Prepariamoci a pagare un biglietto alla frontiera da 1.400 miliardi di euro. A dirlo non sono i Paesi del sud Europa come Grecia, Spagna e Italia, i più esposti all’ondata migratoria da Africa e Medio Oriente, ma uno studio della fondazione tedesca Bertelsmann.

Nel peggiore scenario possibile previsto dagli analisti di Berlino, il ripristino delle dogane comporterebbe, nell’arco di un decennio, un aumento del 3% per tutte le merci importate, per un valore di 1.400 miliardi. La proiezione “positiva” è ugualmente un salasso anche se a costi minori: un aumento minimo dell’1% dei prezzi dell’import che equivale a un esborso complessivo di 470 miliardi.

E il prezzo più salato lo pagherebbero le economie più grandi: Francia e Germania, alle quali toccherà pagare almeno 80 miliardi di euro in più per sostenere lo stesso flusso di scambi commerciali per i prossimi dieci anni. «Se torneranno i controlli alle frontiere dei paesi europei – ha detto Aart De Geus, presidente della Fondazione Bertelsmann – la già debole crescita del continente sarà messa sotto pressione».

Insomma, nei giorni in cui la Cina spinge per entrare nel club delle economie di mercato, e punta ad abbattere le barriere doganali per le proprie merci, l’Europa rischia di perdersi in divisioni interne tra ipotesi di Brexit e sistema di quote imposte dal governo austriaco. Non siamo ancora alla fine dell’Europa immaginata dai padri fondatori, ma poco ci manca.

E se il trattato di Schengen andrà in soffitta avrà un costo salato anche per Usa e Cina, stimano gli analisti di Bertelsmann, ma siamo nell’ordine tra 90 e 280 miliardi di euro, un settimo rispetto al congelamento del mercato interno europeo. Più ottimista - si fa per dire - la valutazione del think tank francese France Strategie, che indica in 100 miliardi di euro, lo 0,8% del Pil europeo, la cifra che rischia di sfumare a causa della reintroduzione dei confini.

E poi c’è il tema delicato dei lavoratori transfrontalieri. Il Bruegel Institute stima che sono 1,7 milioni i pendolari che vivono in un Paese dell’area euro ma che per lavoro si recano ogni giorno in un’altra nazione. Per loro inizierà un calvario col ritorno al controllo dei documenti che aumenterà l’attesa ai confini di oltre mezz’ora. Per paesi come Slovacchia e Lussemburgo potrebbe rivelarsi un duro colpo quanto a produttività e capacità di attrarre talenti. Il ritorno al controllo dei documenti aumenterà l’attesa di oltre mezz’ora per tutti lavoratori transfrontalieri.

Attesi anche danni al turismo. Quella di Schengen è diventata un’area trafficata da 200 milioni di persone che ogni anno si spostano agevolmente da una parte all’altra del continente. I costi dei viaggi d’affari come quelli di piacere dovrebbero perlomeno raddoppiare. Sul fronte merci saranno guai. Gli scambi commerciali, che oggi valgono 2.800 miliardi l’anno, potrebbero calare, secondo le previsioni più funeste, fino al 10-20%.

Dall’Italia invece arrivano analisi e studi sulle opportunità di una politica dell’accoglienza e delle frontiere aperte. Secondo l’analisi dell’Ufficio Studi di UniCredit, i flussi di rifugiati in entrata in Germania nel 2015 dovrebbero avere un impatto positivo sulla crescita del Pil del Paese, con un incremento addizionale del Pil di circa lo 0,5% nel 2016.

La spinta principale, stando alle stime di Unicredit, proverrà da un aumento della spesa nei consumi privati e pubblici derivante dalla crescita della popolazione. Impatti positivi attesi anche per il settore delle costruzioni, con stime di crescita della domanda immobiliare.

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