Serbia, il voto-bis “salva” la destra anti-Ue

BELGRADO. Finalmente il quadro è chiaro e lo scenario delineato. A più di dieci giorni dal voto anticipato del 24 aprile, gli elettori serbi hanno potuto conoscere ieri la futura composizione della Narodna Skupstina, il Parlamento di Belgrado. Lo hanno potuto fare dopo la ripetizione del voto in 15 sezioni nelle quali la commissione elettorale centrale (Rik) aveva riscontrato «errori» e irregolarità.
Alle urne, due giorni fa, erano tornati in circa 19 mila. Il Rik nella notte tra mercoledì e giovedì ha reso noti gli ultimi dati, ancora parziali ma ormai da ritenere definitivi. Manca infatti all'appello solo un seggio di Belgrado «a causa di discussioni» al momento dello spoglio, ha spiegato il presidente del Rik, Dejan Djurdjevic.
Ma «i risultati della sezione 22 di Novi Beograd non avranno alcun impatto sulla distribuzione dei seggi» in Parlamento, ha precisato il direttore dell'Ufficio statistico nazionale, Miladin Kovacevic. Così, sulla base del 99,9% delle schede scrutinate, il Rik è stato in grado di confermare che il Partito progressista (Sns) del premier Aleksandar Vucic ha conquistato l’ok del 48,25% dell'elettorato, un'eccellente performance, in linea in termini percentuali con quella di due anni fa.
Performance che, tuttavia, porterà all'Sns "solo" 131 seggi sui 250 a disposizione, 27 in meno rispetto alle elezioni del 2014 a causa dell'ingresso nell'assise unicamerale di ben sette partiti di peso, in confronto ai quattro della precedente tornata elettorale. A fianco degli uomini del premier conservatore e pro-Ue siederanno anche 29 esponenti del Partito socialista e 22 rappresentanti dell'ultradestra russofila del Partito radicale di Vojislav Sešelj.
Possono sorridere, con 16 seggi a testa, anche il movimento riformista Dosta je bilo e il Partito democratico (Ds), mentre 13 seggi saranno attribuiti alla coalizione Sds-Ldp-Lsv. Dieci saranno riservati invece a piccole forze politiche che rappresentano le minoranze.
Ma la conferma più attesa arrivata ieri è stata quella dell'ammissione in Parlamento della coalizione tra la destra euroscettica del Dss di Sanda Raskovic Ivic e i clerico-nazionalisti di Dveri, guidati da Bosko Obradovic. I Dss-Dveri, nel corso dello spoglio, erano stati dati in un primo momento come sicuri futuri membri dell'assemblea, per essere poi scalzati per un solo voto (4,99%) ed estromessi dal futuro Parlamento causa mancato superamento della soglia di sbarramento.
Le proteste e gli appelli delle opposizioni a sostenere Dss-Dveri alla ripetizione del voto hanno tuttavia centrato l'obiettivo: il 22,5% dei serbi tornati alle urne ha messo la croce sulla coalizione, consentendo all'alleanza tra Raskovic Ivic e Obradovic di risalire al 5,03% a livello nazionale e di ottenere 13 seggi. Se avessero fallito nell'intento, nella redistribuzione dei loro seggi l'Sns di Vucic sarebbe salito a 138 seggi.
Vucic potrà contare comunque su un'ampia maggioranza in Parlamento. «Il popolo serbo non può essere sconfitto da bugie e minacce», aveva dichiarato a caldo, l’altra sera, dopo la pubblicazione delle proiezioni nei seggi dove si è ripetuto il voto, seggi che hanno registrato un accresciuto consenso per l'Sns rispetto al 24 aprile.
Il premier ha incassato ieri nuove congratulazioni per la vittoria, in testa quella del segretario di Stato Usa, John Kerry, che si è detto «soddisfatto per la possibilità di continuare a lavorare insieme» con la leadership di Belgrado. Leadership che tuttavia, con 7 partiti alla Skupstina e la destra nazionalista e anti-Ue rafforzata, dovrà fare i conti con un Parlamento più difficile da controllare rispetto al passato.
©RIPRODUZIONE RISERVATA
Riproduzione riservata © Il Piccolo












