«Subappalto, una giungla» Bengalese va dai carabinieri

Buste-paga con importi nettamente superiori ai bonifici, inutili proteste E alla fine l’invito a restare a casa. «Se sarai bravo ti rinnoveremo il contratto»
Di Fabio Malacrea
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Il mondo del subappalto all’interno di Fincantieri si rivela sempre più una giungla. Il processo per caporalato che vede ora sul banco degli imputati la famiglia Commentale e altri non individua che una minima parte di un fenomeno diffuso a macchia d’olio nello stabilimento di Panzano, fatto di paga globale, minacce e irregolarità contabili ai danni soprattutto degli operai del Bangladesh. Lo hanno denunciato anche Cgil, Cisl e Uil all’apertura del processo: «Quello che accade in Fincantieri a Monfalcone - hanno detto - è cosa nota a tutti, nessuno escluso e già molte volte da parte delle Rsu Uilm denunciato». In questo quadro a tinte fosche c’è chi subisce e chi, stanco di sopraffazioni e minacce, decide di rivolgersi direttamente ai carabinieri. Così ha fatto Afran Kazi, 34 anni, bengalese, arrivato in Italia nel 1998, quando aveva 19 anni, viaggiando per migliaia di chilometri nel cassone di un camion. Afran non è certo un tipo che si fa intimidire. È stata una sua denuncia ad aprire il processo per caporalato, dopo aver subito un pestaggio da alcuni connazionali per essersi rifiutato di versare 500 euro previsti per i lavoratori del Bangladesh per l’iscrizione al “sindacato” Bimas.

Kazi, è a Monfalcone dal Natale del 2010. Nel febbraio successivo è stato assunto per due anni da una ditta che poi è svanita nel nulla, lasciandolo senza stipendio e liquidazione. Nel 2012 a febbraio è stata un’altra ditta a metterlo sotto contratto come autista. «Una domenica - ricorda -, dopo essere rimasto al lavoro dalle 5 di mattina alle 10 di sera, ho chiesto un giorno libero per stare un po’ assieme alla mia famiglia. Mi hanno subito avvisato che non mi avrebbero rinnovato il contratto: “Qui non lavorerai più”». Nel novembre 2013, dopo lunga attesa, l’assunzione a un’altra ditta di ponteggi per quattro mesi.

Sembrava la salvezza, e invece... È lo stesso Afran a raccontarlo ai carabinieri nella sua denuncia. «La mia prima busta-paga riportava un compenso di 957 euro ma il bonifico che mi sono ritrovato sul conto due giorni dopo era di soli 754 euro. Ho chiesto spiegazioni, mi hanno detto che probabilmente c’era stato un errore nei conteggi. Quella volta ci ho creduto. Ma con la seconda busta non andò meglio: riportava l’importo di 1.726 euro e in tasca me ne ritrovai solo 863. Poi mi chiamarono in ditta per ritirare la mia tredicesima di 175 euro. Sì in busta, perchè sul mio conto non sono mai arrivati». Con la paga di gennaio non è andata meglio: busta da 1771 euro e bonifico di 1331. Il tutto costellato di errori nel conteggio delle ore lavorate. «Ne avevo fatte 190 me ne avevano conteggiate 167». Un errore diventato una costante. Con la busta relativa al mese di febbraio la storia si è ripetuta: 1891 euro “ufficiali” con un bonifico però di soli 1319 euro. Afran ha chiesto ripetutamente di parlare con il titolare ma senza risultati. «L’ho visto una sola volta e mi ha detto che avrebbe controllato i conteggi». Poi l’epilogo. Il 28 febbraio Afran è stato “invitato” a restare a casa per due settimane: mancanza di lavoro. «Al mio rientro però mi hanno detto di stare a casa definitivamente, senza giustificazioni. Aggiungendo che avrebbero anche potuto rinnovarmi il contratto “se mi fossi comportato bene”». L’ha fatto Afran, recandosi dai carabinieri.

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