Trieste accoglie i bambini in fuga dall’Isis

Si apre un “corridoio umanitario” con il Kurdistan iracheno per salvare i piccoli yazidi perseguitati
Di Pierpaolo Pitich

C’è un filo sottile che unisce la regione del Kurdistan iracheno a Trieste. Un collegamento che si sviluppa in un progetto appena partito e che incarna un vero e proprio corridoio umanitario. In quell’area cercano rifugio gli Yazidi, la comunità religiosa in fuga dai miliziani dell’Isis. Qualcuno è riuscito a superare il confine, altri a ripararsi all’interno di grotte, in un territorio che rimane una roccaforte importante dei Peshmerga. In tanti però sono stati giustiziati dagli jihadisti dell’Is. Qualcuno addirittura sepolto vivo. I bambini Yazidi vengono usati come scudi umani o arruolati dal califfato. Una serie infinita di atrocità.

E quel filo che parte da Trieste vuole raggiungere proprio quei bambini, vittime innocenti di una persecuzione assurda di una popolazione intera. In particolare quelli affetti da gravi patologie e che dunque necessitano di cure ospedaliere specifiche. Sono circa 300 e vivono nei campi tendati della zona. Lì ad occuparsi di loro c’è il medico triestino Marzio Babille, già rappresentante dell’Unicef in Iraq, che ha speso la propria vita per aiutare i bambini indifesi negli angoli più difficili del mondo. Ma adesso quell’aiuto sul posto si amplia. Ed arriva fino a Trieste grazie ad una rete che mette insieme la struttura sanitaria del Burlo Garofolo, il supporto del Rotary Club Trieste e una serie di canali umanitari destinati ad irrobustirsi che consentono di trasferire nella nostra città quei bambini sfortunati, nonché di ospitare i loro familiari per il periodo necessario alle cure. Un’iniziativa che ha già raggiunto il primo risultato. Il piccolo Hathal, che vive nel campo tendato di Khanke, alla periferia di Dohuk, messo a disposizione dai Curdi agli Yazidi in fuga, tra pochi giorni sarà a Trieste per essere curato. «Si tratta di un progetto nato dall’impegno di Babille e che poi abbiamo voluto ampliare attraverso un collegamento diretto con la nostra città - spiega Pierpaolo Ferrante, coordinatore dell’iniziativa umanitaria -. Un progetto chiaro ed affidabile che si fonda sulle più ampie garanzie che nessun contributo va sprecato, ma che al contrario viene incanalato nella direzione prestabilita. Un percorso che si sviluppa in più fasi: prima l’individuazione in loco del bambino e delle cure delle quali abbisogna. Poi un’analisi accurata, nero su bianco, della situazione complessiva che viene fatta a Trieste ed infine, cosa non da poco, l’organizzazione del trasferimento, che non è per nulla facile né scontato, grazie all’interessamento del ministero degli Affari Esteri».

In effetti anche le problematiche più piccole e superabili possono diventare insormontabili per quelle popolazioni costantemente in fuga. Come ad esempio riuscire a trovare i soldi per prendere l’autobus che da Dohuk porta, lungo 170 chilometri, fino al Consolato italiano nella capitale Ebril, per raccogliere il visto sul passaporto. E poi le paure su come riuscire a sopravvivere in una città lontana come Trieste. Dubbi, ansie, vergogna e disperazione di persone che non hanno mai viaggiato e che non sono mai andate da nessuna parte. Se non per scappare di continuo verso la sopravvivenza. «Proprio per questo motivo stiamo allargando la rete umanitaria coinvolgendo anche la struttura del Cro di Aviano e la sezione del Rotary del Nord Est - conclude Ferrante -. Ma stiamo anche pensando ad una raccolta fondi che comprenda realtà pubbliche e private, ma non solo. Il concetto è quello di sensibilizzare una città che nella sua storia ha vissuto sulla propria pelle le ferite e gli strascichi della guerra e che quindi conosce questo tipo di situazioni. La speranza è dunque quella di continuare ad allargare questo canale umanitario per ridare speranza a questi bambini e di conseguenza ad un popolo intero».

Una speranza che per Hathal sta diventando realtà. La prossima sfida riguarda la piccola Roan. Un passo alla volta per provare a cambiare quello che per molti sembrava un destino già segnato.

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