Al detective Titz nella Trieste asburgica i malviventi si costituivano senza disonore

Il “cancellista di polizia” godeva di grande prestigio all’inizio del secolo e i delinquenti lo rispettavano
Pierpaolo Martucci

Il 9 febbraio 1885 nella cittadina di Esseg, in Ungheria, una vedova viene rapinata e uccisa da uno sconosciuto. Qualche giorno dopo il presunto aggressore, originario di Idria, viene arrestato a Zevica, in Bosnia, ma fugge gettandosi nel fiume Bosna e facendo perdere le sue tracce. Sino al 2 luglio, a Trieste.

Quel giorno, informa il Piccolo, il “cancellista di polizia, signor Titz” lo riconosce dalla segnalazione e lo arresta: “l’individuo in parola è tatuato in varie parti del corpo, è balbuziente e di un aspetto sinistro”.

Come avevamo già ricordato in articoli precedenti, la brillante carriera di Giorgio Titz, il più abile investigatore della Trieste asburgica, era iniziata nel 1876 con l’arruolamento nel nuovo corpo di polizia locale e, dopo i primi successi, con la promozione nel 1884 al grado di “cancellista”.

Ma è l’anno dopo che la sua fama si consolida e ne fa ben presto un personaggio avventuroso, citatissimo nelle colonne della cronaca nera locale.

Infatti, quando l’agente è chiamato a indagare su un rilevante furto di tabacchi, il cronista afferma sicuro: “è a ritenersi che il signor Titz saprà scovare gli autori del colpo”. E in ottobre, nel caso di un calzolaio che, ferito con cinque coltellate al ventre, si rifiuta di dare indicazioni sui suoi aggressori, non ci sono problemi: “il cancellista di polizia sig. Titz, che quando ci si mette va a scovar fuori il più raffinato ladro o il più astuto malfattore, ha saputo trovare anche il feritore del Cacovich e lo ha arrestato iermattina”.

In effetti il poliziotto, che agisce sempre in borghese, si muove perfettamente a suo agio nel sottobosco criminale e unisce a un intuito sorprendente una infallibile memoria fotografica. Senza bisogno di consultare archivi, “l’imperial regio cancellista (…) col suo occhio linceo” sa identificare pregiudicati condannati molto tempo prima. “Non è stato già in prigione?”, chiede. E il malcapitato non può che ammettere: “Sior si, sete ani fa”.

Titz conosce perfettamente diverse lingue ma nella quotidianità preferisce il dialetto, il vero idioma franco del litorale, per rapportarsi direttamente con tutti i suoi … clienti, informatori o latitanti che siano. Ecco un sapido esempio del suo stile di approccio.

Quando incontra un certo Scopizzi, sua “vecchia conoscenza”, che porta con sé un barile di chiodi (rubato), così lo apostrofa: “Coss’te fa con quei ciodi? No te xe miga vignù ‘l pinzier de impicarte? – “Ah, no, sior…i me xe stai regaladi” – “Regalai!... Proprio? Me par curioso”, replica il cancellista “con quel suo sorriso sarcastico che indica com’egli conosca i suoi polli”.

L’uomo tenta una debole giustificazione: “Dai! Ghe dirò la verità. Sto baril lo go trovado”. Ma Titz è inesorabile: “Ben, ben, sarà vero, sarà vangelo; ma lassemo le ciacole e vien con mi”. E così in Tribunale, un mese dopo, lo Scopizzi fornirà la sua ultima, improbabile versione: “Mi, sior presidente, no ghe so dir proprio come che quei ciodi me sia vignudi in ta le man; iero imbriago e no me ricordo niente”.

Titz è chiamato a indagare anche sulle malefatte marittime, perché nel primo porto dell’Impero le navi non garantiscono maggior onestà di quanta non se ne trovi in terraferma. Come nel caso di quel comandante del piroscafo Iris, uno scafo del Lloyd ormeggiato al molo San Carlo, che non dorme sonni tranquilli… perché qualcuno gli ha rubato il materasso. Se ne incarica l’i.r. cancellista di polizia, che dopo qualche giorno arresta il colpevole, tale Giovanni Zottich, facchino, detto Orbo coccodrillo. Ma il materasso è ormai perduto…venduto “in Ghetto per fiorini 3.50”.

Nel 1894 il detective viene promosso a “ufficiale di polizia”. In quello stesso anno il Piccolo ne riporta svariate altre imprese, fra le quali l’arresto di un rapinatore evaso dalla casa di lavori forzati di Lubiana, che “nonostante le più attive ricerche non si era riusciti a rintracciare”.

Ma le sue missioni non sono circoscritte alla città; all’occorrenza può agire in ogni contrada dei vasti domini di Sua Maestà Apostolica, e anche oltre. Così quando un tale Grünberg, commerciante disonesto, scompare da Trieste per sottrarsi alle vittime delle sue frodi, Titz fa controllare la corrispondenza indirizzata alla moglie del latitante.

Grazie a una lettera intercettata scopre che il truffatore si nasconde a Vienna; partito subito per la capitale, lo ammanetta “mentre saliva in tram”. Nel caso dei grassatori che hanno trafugato un intero vagone di zucchero, ne acchiappa uno a Sesana e ne insegue un altro sino in Baviera, fermandolo a Monaco.

Alla soglia del nuovo secolo il prestigio di cui il poliziotto gode è tale da assicurargli un grande rispetto da parte di quegli stessi delinquenti di cui è nemico giurato: costituirsi a Titz non è disonorevole. Un aneddoto esemplare: il 19 marzo 1897 il bracciante Carlo Rovan, provocato da un ubriaco, certo Kurzer – guardia civica -, lo accoltella all’esito di un alterco, uccidendolo. Nessuno assiste allo scontro e nessuno lo sospetta, ma l’uomo è tormentato dal rimorso “Me pareva che una vose me disessi: vate a confessar! Ma gavevo paura della condanna”.

Finalmente il 25 marzo si reca alla Direzione di polizia per costituirsi. Ma non sa “da chi andar per confessarse” e trascorre quasi mezz’ora in giri oziosi. Sino a quando vede Titz e il nodo si scioglie. Si lancia verso di lui esclamando: “Sior! Son quel che ga ferido el sbiro! Lui me ga guardado in un zerto modo! El me ga assunto a protocolo e mi go contà tuto (…) go podesto respirar subito più liberamente”.

Ancora per anni Titz sarà protagonista nelle cronache, ma con maggiori difficoltà rispetto a una delinquenza sempre più organizzata ed efficiente. Nel processo contro un’audace banda di scassinatori si lamenterà di non avere né agenti, né danaro da utilizzare, ossia “i mezzi che sono a disposizione di tutte le polizie”.

La scelta di pensionarsi sarà dettata dalla stanchezza, ma forse anche dalla consapevolezza del tramonto di un’epoca, cui non avrebbe potuto sopravvivere. Morirà, non a caso, nel 1914. —

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