Alla corte di Piero, monarca della pittura

Della Francesca e i suoi eredi ed esegeti in una rassegna che si inaugura oggi ai Musei di San Domenico di Forlì
Di Franca Marri
N024
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Arcaico e moderno, teorico e artigiano, provinciale a vocazione universale, aristocratico e popolare, "il monarca della pittura": tutto questo fu Piero della Francesca, artista tra i massimi protagonisti del Rinascimento toscano. Realizzò opere come la Sacra Conversazione di Brera, la Resurrezione di San Sepolcro, il ciclo di affreschi con la storia della Vera Croce nella chiesa di San Francesco ad Arezzo, l'enigmatica Flagellazione di Urbino. I suoi dipinti hanno affascinato i contemporanei e gli artisti dei secoli a venire per la verità dei contenuti sostenuta dall'indiscutibilità della costruzione geometrico-matematica delle sue composizioni.

Oggi, ai Musei San Domenico di Forlì, si inaugura la mostra "Piero della Francesca. Indagine su un mito", evento assolutamente unico, reso possibile da un comitato scientifico presieduto da Antonio Paolucci, con la direzione generale di Gianfranco Brunelli.

L'esposizione pone a confronto un ristretto ma significativo nucleo di opere di Piero con quelle di altri grandi maestri del Rinascimento quali Domenico Veneziano, Beato Angelico, Paolo Uccello, Andrea del Castagno, Filippo Lippi, Francesco Laurana, analizzando poi l'influenza della sua arte su autori della generazione successiva come Marco Zoppo, Francesco del Cossa, Luca Signorelli, Melozzo da Forlì o Giovanni Bellini.

Ma il vero "mito" di Piero della Francesca è destinato a nascere molto più tardi negli anni, dopo un lungo periodo di oblio, in epoca moderna.

Nella pittura dell'Ottocento l'atmosfera sospesa, la luce tersa, il ritmo pacato delle composizioni di uno dei più raffinati pittori macchiaioli toscani quale fu Odoardo Borrani, ricordano l'arte di Piero.

Edgar Degas, quando giunse in Italia nell'estate del 1858, ammirò l'opera di Piero e il suo dipinto Semiramide che costruisce Babilonia pare proprio ispirarsi agli affreschi di Arezzo. Puvis de Chavannes con le sue scene ieratiche, semplici e solenni insieme, Georges Seurat rivelatosi all'ultima mostra degli impressionisti del 1886 con la sua pittura puntinista, geometrica e ferma, pure dovettero guardare alla lezione del maestro italiano.

L'eccellenza formale dell'arte di Piero ed insieme "quella mancanza di espressione dei suoi personaggi", quelle figure che si contentano di esistere, che "esistono e basta" - come scriveva Bernard Berenson - senza darsi "pena di spiegare, di giustificare la loro presenza", crearono quindi una straordinaria sintonia con lo spettatore contemporaneo. La fascinazione per la sua pittura in diversi artisti europei va da Johann Anton Ramboux a Charles Loyeux, alla riscoperta del primo Novecento legata a Roger Fry, Duncan Grant e al Gruppo di Bloomsbury. Mentre, come nota Fernando Mazzocca nel suo saggio in catalogo, determinante nell'evoluzione della pittura italiana del Novecento è stata la consacrazione critica di Piero della Francesca passata da "The Central Painters of the Renaissance" di Berenson del 1897 ai decisivi interventi di Roberto Longhi: il saggio su Piero dei Franceschi e lo sviluppo della pittura veneziana, uscito su "L'Arte" nel 1914 e la celebre monografia del 1927.

In mostra oltre agli espliciti omaggi di artisti come Semeghini e Ferrazzi, figurano le opere di Guidi, Carrà, Donghi, De Chirico, Casorati, Morandi, Funi, Campigli, Sironi, messi a confronto con altri artisti stranieri quali Balthus e Hopper per le loro opere raffiguranti scene quotidiane ed eterne al tempo stesso. Come le opere di Piero, artista classico, universale, moderno.

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