Che vertigine a Lucerna mi sembrava di rivivere nel “Bourbaki Panorama”

di ROSA MATTEUCCI
A metà della squisita cena versione new-age delle sorelle Taborelli, ove mi strafogo di polpettine di carne, insidiata da un poeta varesino già curatore del Meridiano di Emily Dickinson, parto con il professor Leonardo alla volta di Lucerna. Sono abbastanza risentita di viaggiare in auto, perché la tratta ferroviaria del San Gottardo è la più spettacolare di tutta la Svizzera: il treno s'arrampica per un percorso a spirale, zampironesca pseudo-cremagliera di cui non vedrò nulla, perchè mi devo accontentare della lugubre galleria autostradale, e della notte ormai fonda sulle pianure del cantone di Uri, quello di Guglielmo Tell.
Nel cuore della notte ci fermiamo ad Airolo davanti al monumento alle vittime del lavoro. Realizzato da Vincenzo Vela ai primi del '900 ricorda gli eroi del Gottardo, minatori perlopiù italiani, che perirono durante lo scavo della galleria ferroviaria: dieci operai morti a chilometro. Si raffronti come cento anni dopo, durante i lavori del tunnel autostradale, quello in cui m'avventuro con Leonardo, ne perì "soltanto" uno a chilometro. Tali orride statistiche mi hanno sempre affascinato e commosso. Ai piedi del monumento di Airolo mi viene da piangere.
Ad un'ora imprecisata della notte Leonardo mi lascia in albergo, una sorta di residence per impiegati e operai trasfertisti, sulle rive di un ennesimo lago, nei pressi di Lucerna. La struttura si presenta in elegante stile liberty, con bovindi e modanature, deliziose aiole fiorite. All'interno, invece, è restaurata tipo orrida casa vacanze. Alloggio nella più bella stanza: temperatura media circa trentacinque gradi, secondo il protocollo Celsius dei popoli germanici, parete attrezzata fronte letto con piano cottura, frigo, lavastoviglie. Tre sgabelli da aperitivo on the rocks in legno finto rovere abbelliscono un tavolino con zampe da cicogna. Sulla destra un simpatico buffet di legno anticato, con vetrinette ornate di pizzo bianco di plastica. Una finta testa di alce in peluche occhieggia a lato del matrimoniale su cui grava un piumino, ovviamente non c'è il lenzuolo. La testa potrò appoggiarla su un torcolo che pesa come se fosse pregno di segatura bagnata.
Semistordita dal calore che alligna nella più bella stanza dell'albergo, m'industrio a disinnescare il riscaldamento, che corre sotto il pavimento cosicchè non vi sono caloriferi da distruggere a martellate. Dopo breve allucinata indagine scopro che il termostato, ammesso che ci sia, si trova dentro ad un armadio chiuso a chiave. Mi rifugio nella stanza da bagno ove appena accesa la luce s'innesca un ventilatore il cui rombo somiglia a quello di un jet in fase di rullaggio sulla pista di decollo. Una volta spenta la luce del bagno, implacabile l'aspiratore seguita nella sua acustica funzione anti sonno per almeno quarantasette minuti. Spalanco le finestre, ne ho ben due affacciate su spaziosi balconcini arredati con tavolinetto e sedie da giardino. Sono disperata. Impossibile contattare l'albergatore perché egli non risiede nella struttura pseudoalberghiera.
La giornata seguente, in preda alla narcolessia e con stato d'animo parzialmente risentito, il viso stranamente chiazzato di rosso porpora, - avrò forse la varicella? - dopo aver sbranato l'incolpevole cameriera addetta alle colazioni, e convocato in loco il gestore «affinchè si provveda seduta stante a spegnere qualsivoglia tipo di riscaldamento nella mia camera» vengo trasportata, sempre da Leonardo, che invece ha ben riposato a casa sua, a Lucerna. Qui di fronte ai lussuosi alberghi del lungolago, in uno alloggiò il divino Tolstoj, in un altro più modesto il piccolo Kafka, di cui si commemora il soggiorno offrendo un cesto di mele rosse e bianche ai clienti, ho modo di risentirmi vieppiù con Leonardo che mi ha relegata a dormire nell'orrida casa-vacanze per turisti tedeschi.
Tuttavia la visita del “Bourbaki Panorama” mi rianima seduta stante. Panorama è un padiglione circolare, enorme, sembra un centro commerciale ma non lo è. Piazzato nel cuore di Lucerna, fra il lago, la parrocchiale, e i negozi di lusso, custodisce un dipinto lungo centododici metri e alto dieci che raffigura la disastrosa rotta dell' armata francese sul finire della guerra franco-prussiana del 1870-71. Nell'inverno del 1871 l'armata francese del generale Bourbaki raggiunge la Svizzera e consegna le proprie armi. Il pittore Eduard Castres, già volontario della Croce Rossa e quindi testimone diretto della vicenda, realizzò, con l'aiuto di una decina di discepoli, il dipinto circolare che riveste la cupola del Panorama, in cui sono realisticamente raffigurati soldati, cavalli, e benevoli soccorritori svizzeri della truppa francese. La visione del “Bourbaki Panorama” è ipnotica: il dipinto ruota attorno ad una piattaforma di legno, e l'illusione ottica è così forte che sembra di stare in mezzo a quegli sciagurati con le pezze ai piedi, le bende insanguinate, i cappottoni sdruciti.
Durante la visita, che dura una decina di minuti, viene filodiffusa una colonna sonora, un misto di iperrealistico e didascalico dai toni insopportabili, in cui al fischiare del vento sulle nevi, s'alternano nitriti di cavalli morenti, concitate voci di poveri soldati francesi, scalpiccii di zoccoli, lamenti e brevi note storiche. Esaltata dalla visita del Bourbaki, già affamata e nervosa, malvolentieri mi presto alla visita della parrocchiale di Lucerna: la chiesa di San Leodegario in Corte.
All'interno di San Leodegario, in stile barocco quindi da me inviso, sorge un gran organo a canne, di cui Leonardo mi illustrerà ogni dettaglio, suscitando in me una noia cosmica commista a desideri di vendetta. Artefice del pregevole strumento fu un certo Johannes Geissler detto l'organaro salisburghese. Si noti la qualifica di organaro in contrapposizione a quella di organista che invece di costruire il manufatto si diverte a strimpellarlo. Volendo stupire i lucernesi il Geissler sfornò un organo di ben 2826 canne, così possente nel suo incombere sulla porta principale della chiesa, che si apre con cellula fotoelettrica, tipo apriti sesamo. Sul finire dell'ottocento l'organaro Friedrich Haas lo volle ampliare portando i registri da 48 a 70 con innegabile proliferazione entropica delle canne. L'organaro Haas non pago del sovranumero di nuovi registri inventò un marchingegno ausiliario, detto Regenmaschine, ossia una botticella piena di sfere di metallo che percossa riproduce il plin plin della pioggia argentina. Meccanismo che viene azionato solo una volta all'anno. Alla fine dell'800 per bilanciare la potenza dell'organo di Geissler, un terzo impavido organaro, tale Thomas Sylvester, costruì un secondo organo a canne che fu piazzato pudicamente alla sinistra del presbiterio.
Unica cosa che avrei voluto visitare in quella chiesa era la tomba del teologo Hans Urs von Balthasar, morto tre giorni dopo essere stato creato cardinale: niente da fare, accesso inibito, anche io sono arrivata troppo tardi.
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