Hallberg, un debuttante che è già caso editoriale con la “Città in fiamme”

di Mary B. Tolusso
Difficile valutare un romanzo, tanto più quando è presentato come un capolavoro. Certo qualcuno ha già avanzato l'ipotesi che un capolavoro annunciato puzza sempre di best seller, un'operazione di marketing, insomma, più che di letteratura. Stiamo parlando di "Città in fiamme" (Mondadori, pag. 927, euro 25), a firma del giovane Garth Risk Hallberg.
Trentasei anni, giornalista, Hallberg è cresciuto a Greenville, ma vive a New York. Già noto per un'intensa attività di critico, quando è passato dal lato opposto ha impiegato cinque anni per sviluppare l'idea e altri cinque anni per scrivere il romanzo. Può essere che queste dichiarazioni siano anche fandonie, affidandoci all'ipotesi che l'opera sia stata scritta con precisi scopi commerciali guidati dagli editor. Vero è che di bestselleristico "Città in fiamme" ha ben poco. E non tanto perché bisogna affrontare circa 1000 pagine di lettura. E non siamo certo di fronte a una saga fantasy.
Ci sono altri motivi per diffidare di questa ipotesi. È un'opera fatta per quel lettore che è sempre il primo critico, il lettore che gode di una storia declinata a diversi registri narrativi, ma mai noiosa, scontata o linearmente prevedibile. Insomma un lettore vero. Il che ci confermerebbe che così commerciale non è.
La trama ci restituisce un affresco della New York degli anni '70, la New York del grande collasso finanziario, una Mela che brucia sotto i fuochi della bancarotta e del nuovo punk rock. Una città decadente e mitica dove gli artisti fanno "salotto" nei sobborghi degradati, Brooklyn inizia a essere colonizzata dai bianchi e il vinile è l'unica realtà possibile per ascoltare musica. In tutto questo Hallberg zooma tra quartieri alti e bassi, uffici d'alta finanza e ritrovi underground, sposta il tempo avanti e indietro per scendere in verticale nella testa dei suoi eroi.
E sono loro che ci parlano. Perché da sempre, nelle grandi strutture romanzate, è la psicologia dei personaggi che seduce più della storia stessa, anzi la Storia - anche quella con la s maiuscola - la sostengono proprio loro. Pensiamo ai classici russi, ma anche ai più recenti francesi, a un anti eroe come Limonov, o agli intramontabili americani: che ce ne sarebbe importato dei temi della grazia, della legalità e della colpa se non ci fosse stata una Hester Prynne a raccontarcela con la sua lettera scarlatta sul petto?
Nel caso di Hallberg tutto ruota intorno a un delitto, ma non ci importa così tanto di un omicidio avvenuto a Central Park, anche se rappresenta il centro strutturale del romanzo. Ci importa di più correre insieme a tutti i suoi protagonisti, dotati di quelle storie da "ragazzi interrotti" che convergeranno, infine, al grande blackout del 1977, vero e proprio inferno dantesco, munito di Angels e tutto il resto. I capitoli del grande blackout sono davvero una sorta di saga medioevale dove la luce si è persa, l'anarchia trionfa e New York crolla con tutti i suoi colletti bianchi, tra fiamme e saccheggi, anche se solo per una notte. A livello visionario, se può aiutare, è come se l'11 settembre 20. 01 si fosse trasferito nel 1977.
È qui che Hallberg dà il meglio di sé, con la scrittura fa un po' quello che gli pare, passa da una linearità classica a un registro più moderno per collimare a una visionarietà pop. E in tutto quel buio si consumano grandi amori e grandi tradimenti, fedi finanziarie e fedi emotive, un continuo contrasto dove ognuno conduce la sua battaglia ed è «come se tutti avessero sottovalutato la capacità del sentimento allo stato puro di fottere anche il più perfetto dei sistemi». Ed è vero, verissimo, piaccia o non piaccia, è il sentimento a fare da capofila nelle tensioni più alte, nei grandi e piccoli eventi, non certo la razionalità. Le rivoluzioni non sono mai educate. Ci sono i soliti ribelli, più o meno cattivi, più o meno amabili, ma con una peculiarità in più: tutti in realtà hanno bisogno di una qualche salvezza. Perché tutti hanno storie personali privatissime, ma talmente collettive da trasformare l'intimo in politico e poi «Si sa, che nessuno è più attraente di chi ha bisogno di essere salvato».
Gli occhi di Hallberg sono piuttosto lucidi, di quella lucidità che consente a un autore di mettersi nudo davanti a tutti, affidandosi a una storia in minuscolo, a piccoli eroi e anti eroi che sostengono anche momenti epocali, ma ne potrebbero fare a meno ai fini della loro autenticità esistenziale: «Non c'è alcuna forma d'arte, nemmeno la Grande Arte Americana, in grado di elevarti sopra le divisioni e i cataclismi della vita ordinaria, né di isolarti da loro», leggiamo in "Città in fiamme". E questo è ben poco bestselleristico, potrebbe essere un pensiero di Richard Ford.
E c'è molta musica, in "City on fire", i classici del punk-rock o la più lirica tradizione scozzese, dai Nightmares ai Pipes and Drums. Una colonna sonora che è anche una linea parallela per tradurre con più sangue i personaggi: come pensano, cosa vogliono, come amano e dove il sesso non è altro che una sospensione dalla solitudine, per pochi minuti, un ampliarsi della vita in qualcosa di più luminoso. Sull'amore le idee sono altrettanto chiare, scevre di retorica, potrebbe venire in mente un autore come Philip Roth, insomma quelle penne che sanno usare una chirurgia millimetrica per far implodere i luoghi comuni. Per esempio Hallberg ci dice che un amore totale e incondizionato è soffocante, perché guarda troppo poco a quello che sei veramente.
Tutto nasce da un singolo episodio di cronaca - la morte di una ragazzina a Central Park durante la notte di Capodanno del 1976 - ma da quell'omicidio si approfondiranno le vite di una miriade di newyorkesi, intoccabili e paria, tutti in corsa per il grande buio dove, come spesso accade, le cose si vedono più chiaramente. C'è chi l'ha paragonato a Dickens per estro narrativo, ma aggiungerei senza l'ironia dell'autore di Portsmouth. C'è chi l'ha confrontato a Fitzgerald, Salinger, Price. In realtà Hallberg assomiglia a Hallberg, voce piuttosto visionaria, benché lineare, che ci accompagna in questa ruota di vite che si incontrano, si spezzano e cambiano a dirci come spesso proprio le persone che ci sono più vicine, rimangono le più sconosciute. Ed è per questo che le amiamo.
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