Il maiale è onesto. E noi lo diffamiamo

C’era quella favola di George Orwell che tanto favola non è a iniziare dai protagonisti: i maiali. Maiali piuttosto politici, tutti in grado di parlare e contrattare, come accade appunto ne “La fattoria degli animali”, il romanzo satirico dell’autore britannico. Di satire e metafore la sfortunata bestia ne ha subite parecchie, portandosi dietro una fama non proprio lusinghiera. Ma perché il porco, nel corso dei secoli, è stato scelto come il numero uno nei fantasiosi codici dell’offesa? Ce lo spiega Roberto Finzi, che ha insegnato Storia economica anche a Trieste e ha all’attivo molti contributi editi dalle maggiori case editrici italiane. Con “L’onesto porco. Storia di una diffamazione” (Bompiani, pag. 161, euro 11,00), siamo di fronte a una sorta di manualetto tascabile per chi volesse sapere di più sulla turpe fama del verro, maiale, porco, suino e avanti.
Perché attenzione, il maiale non cambia nome a caso, piuttosto in base alle voglie, ma soprattutto ai sensi di colpa dell’uomo che scattano, spiega Finzi, proprio quando uccide animali di grossa taglia. Così dal Omero a Orwell, passando attraverso qualche elogio illuminista, osserviamo questo animale evocato con un altro occhio. Quello di Circe per esempio, uscito dalla penna di Giordano Bruno nel suo “Cantus Circaeus”. Qui la maga mostra all’allieva Meri come rivelare la vera natura bestiale di esseri che hanno una forma umana. Ed è proprio alla Circe di Giordano Bruno a cui dobbiamo il detto: “Non si dice buono se non quando è morto”.
Soprattutto scopriamo come la disgraziata bestia sia stata il mezzo di oltraggio più gettonato per screditare filosofie non gradite, come l’epicureismo. Così fecero Cicerone, Timone di Fliunte e poi il cristianesimo rincarerà la dose. Si tratta di un divertissement erudito, arricchito dall’introduzione di Claudio Magris che lega immagini letterarie sugli animali al mistero che inevitabilmente ci comunicano. La natura, si sa, possiamo descriverla ma non viverla e il saggio di Finzi dipinge perfettamente ciò che è stato il porco per il genere umano, “un bene essenziale”, recita il titolo di un capitolo. Non di meno ingiuriato in ogni modo, e senza fondamento reale, se non quello della malafede quando l’offesa agisce da specchio all’uomo. E come spiega Finzi anche della donna.
Ci sono pure testimonianze che ne riscattano il valore (non solo in cucina), più esili ma presenti oltre a curiosi dati di storia economica: Varrone per esempio fa risalire la nascita della mortadella già al I secolo dopo Cristo. Nel testo non c’è traccia di faziosità animalista, ma come dice Magris, nell’equilibrio della sopravvivenza, è tempo di lenire o limitare la sofferenza animale. Insomma un saggio colto e leggero che non manca di verticalità per dire che il linguaggio ha i suoi codici, complessi quanto la natura, dietro una parola simbolica ci sta una letteratura, e dietro una letteratura c’è una civiltà.
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