Il mondo piange Eco intellettuale moderno

ROMA. C’è un video in cui si vede Umberto Eco che cammina tra le librerie di casa, un labirinto di scaffali. Come la biblioteca del suo Il nome della rosa. I libri sono un richiamo profondo per chi pensa a Eco, scrittore, filosofo. Sono le copertine dei romanzi e dei saggi, sono le regole di scrittura per tentare la retta via dell’italiano corretto. I libri sono nel suo appello alla lettura: «Chi non legge a 70 anni avrà vissuto una sola vita: la sua. Chi legge avrà vissuto 5.000 anni: c’era quando Caino uccise Abele, quando Renzo sposò Lucia, quando Leopardi ammirava l’infinito… perché la lettura è un’immortalità all’indietro». I libri sono le sue traduzioni, Gli esercizi di stile di Queneau. Parole. Scritte e pronunciate. Scagliate, a volte.
L’Italia e il mondo hanno conosciuto Eco - spentosi venerdì sera a Milano - nei suoi tanti profili. Quello del figlio del ferramenta di Alessandria, classe 1932. Volta la carta. E c’è il suo profilo di filosofo, studioso di Tommaso d’Aquino. C’è l’Eco “corsaro” tra i primi vincitori dei bandi Rai che insieme a Furio Colombo e Gianni Vattimo, siamo nel 1954, doveva svecchiare i programmi della rete. C’è, forte, l’immagine del docente universitario. Torino, Milano, Firenze e poi Bologna le città dove ha insegnato. Nell’ateneo bolognese aveva dal 1975 la cattedra di Semiotica. Era direttore dell’Istituto di comunicazione e spettacolo del Dams, è stato lui a dare il via al corso di Scienze della comunicazione. Era presidente della Scuola superiore di scienze umanistiche. C’è un’immagine di Eco che cammina sotto i portici di Bologna. L’impermeabile aperto, le mani dietro la schiena, il sigaro. Un filosofo moderno lo si immagina così. C’è un altro video, quello che nell’estate del 2015 ha scatenato reazioni contrastanti. Rabbia. Così come condivisione. È sempre il profilo dell’Eco docente, sulle spalle l’ermellino del mondo accademico. Un suo affaccio pubblico.
A Torino durante la lectio magistralis per la laurea ad honorem in scienze della comunicazione aveva detto «internet dà diritto di parola a legioni di imbecilli». Apriti cielo. Eppure l’osservazione del docente era di progetto: «Il grande problema della scuola oggi è insegnare ai ragazzi come filtrare le informazioni di Internet. Anche i professori sono neofiti di fronte a questo strumento». Il professore, profondo osservatore. Volta la carta e c’è l’Eco studioso dei mass media. Diario minimo, Apocalittici e integrati. E il breve articolo Fenomenologia di Mike Bongiorno. L’influenza dei mass media nella cultura di massa è l’etichetta sullo scatolone che conserva i suoi saggi.
Sulle note di De Andrè si volta la carta e c’è il suo primo libro di teoria semiotica. Eco pubblica nel 1968 La struttura assente, tradotto in francese, tedesco, spagnolo, portoghese, serbo croato e polacco. Volta la carta e ci sono i ritagli dei numeri dell’Espresso e delle sue “Bustine di Minerva”. Scriveva di morte e dolore, di giornali e tv, di calcio. Politica, attualità. Vita. Ecco perché nelle prime ore dopo l’annuncio della sua morte nella casa di Milano, quella dai sentieri di scaffali bianchi, di lui si è scritto «addio all’uomo che sapeva tutto». Dall’attempato Hollande («Immenso umanista») agli emiri («Un gigante»), fino al giovane Iglesias, leader di Podemos («Ore di meravigliosa lettura») lo celebrano oltre le generazioni. Volta la carta e c’è l’autore del Nome della rosa. Il suo primo romanzo, uscito nel 1980. Occam e Sherlock Holmes diventano l’anima di frate Guglielmo da Baskerville, nell’intreccio narrativo e dei piani di lettura. Romanzo e trattato filosofico insieme. La copertina tra il rosso e il fucsia, l’incipit che si studia nei corsi di scrittura creativa. Tradotto in 40 lingue, 50 milioni di copie vendute. E, sei anni dopo, il film interpretato da Sean Connery. L’io romanziere di Eco è anche il Pendolo di Foucault, fino al suo ultimo Numero Zero.
Volta la carta e c’è un Eco uomo di battaglie. L’ultima contro la nuova Mondadori-Rcs al punto da fondare una sua casa editrice, La nave di Teseo. Al suo nipotino che gli chiedeva perché lo stesse facendo, Eco aveva risposto «perché si deve». Martedì 23, alle 15, ci saranno funerali laici al Castello Sforzesco di Milano. Magister, gigante, immenso, genio, acuto, sperimentatore. Il più erudito dei sognatori. Parole per dirgli addio. Pronunciate da capi di Stato e intellettuali. C’è stato e ci sarà il tempo degli omaggi. Non in una camera ardente. Questo era il suo desiderio.
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