La misteriosa morte in Albania di chi non piaceva al Partito

«Par-ti-to Enver» scandivano gli albanesi negli anni Settanta. E in quelle due parole si spalancava e restringeva il loro orizzonte. Perché nella vita del minuscolo Paese in riva all’Adriatico contavano solo il Partito comunista e il suo leader assoluto, indiscutibile: Enver Hoxha. Rimasto al potere dalla fine della Seconda guerra mondiale fino alla sua morte, nel 1985. Capace di tenere testa a colossi come l’Unione Sovietica, la Cina, la stessa Jugoslavia di Tito, senza spostarsi di un millimetro dalla fede marxista-leninista. E dal culto della personalità fortissimo che lo circondava.
Mettersi in rotta di collisione con il «Par-ti-to Enver» voleva dire accorciare di molto la propria vita. Poteva succedere di trovarsi, dalla mattina alla sera, defenestrati da un ministero importante, da un ruolo ideologico di primo piano, dal comando supremo dell’esercito. Subendo un processo sommario e del tutto privo di vere accuse, se non quelle di avere infranto l’armonia del Partito. Di avere messo in discussione gli insegnamenti di Hoxha.
Di storie di questo tipo è costellata la storia dell’Albania comunista. Quella forse più clamorosa l’ha riportata a galla Antonio Caiazza, giornalista della sede Rai del Friuli Venezia Giulia. Salernitano di Siano, classe 1964, pubblica adesso con la casa editrice Nutrimenti il libro “La notte dei vinti” (pagg. 335, euro 18). Un intenso, perturbante romanzo che si nutre di profonde ricerche archivistiche, ma anche di incontri con testimoni dell’epoca. E della grande attenzione che Caiazza ha sempre avuto per i Balcani, per l’Albania in modo particolare.
Era il 1975, l’Albania era un grande buco nero per chiunque abitasse in Europa. Nulla si sapeva di quello che avveniva a Tirana e nel resto del Paese. Proprio in quel periodo, a finire sotto l’occhio sempre vigile del «Par-ti-to Enver» era stato il ministro della Difesa: Beqir Balluku aveva fatto la lotta partigiana, credeva fermamente alla via albanese al comunismo, non si sarebbe mai sognato di discutere il carisma di Hoxha. Eppure, all’improvviso, si trovò sul banco degli imputati. I massimi vertici gli contestavano di avere deviato, in materia di difesa militare, dal Verbo del leader. In pratica, lui si era azzardato a sostenere che, in caso di attacco nemico, la difesa più efficace sarebbe stata quella sperimentata durante la guerra partigiana. Ritirarsi nelle zone montagnose del Paese, illudere gli invasori di avere campo libero, per poi colpirli all’improvviso.
Balluku non si ritrovò da solo a dover sostenere l’ira di Hoxha e del partito. Insieme a lui vennero accusati il commissario politico dell’esercito e il capo di Stato maggiore. Ammisero la loro colpa, si dichiararono pentiti. Ma non bastava ancora. Bisognava fucilarli. E farli sparire mentre a Vranisht, un piccolo villaggio sperduto tra le montagne, le autorità di Tirana organizzavano una grande festa per la locale cooperativa agricola.
Nella “Notte dei vinti”, Caiazza riporta alla luce la ferocia di un mondo dominato dal dogma. L’inflessibile teatrino di chi aveva potere di vita e di morte sugli altri. Dove l’ideologia s’era trasformata in un’angusta gabbia.
alemezlo
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