L’inchiesta rivelatrice degli abusi sessuali coperti dal Vaticano

Come i poliziotti, i cowboy e i soldati, anche i giornalisti sono un pilastro del cinema americano. A volte eroi positivi, a volte protagonisti spregiudicati (a seconda dell’epoca e delle oscillazioni dell’opinione pubblica), la loro popolarità non è mai venuta meno nel corso del tempo. A quarant’anni esatti da quando il regista Alan Pakula, con “Tutti gli uomini del Presidente”, trasformò in eroi arcinoti i due giornalisti del “Washington Post” Bob Woodward e Carl Bernstein (gli attori erano Robert Redford e Dustin Hoffmann), raccontando la loro straordinaria inchiesta sullo scandalo Watergate che travolse il presidente Nixon, diversi film importanti hanno messo in campo generazioni di paladini della verità. Si va da “Cronisti d’assalto” (1994) di Ron Howard a “Insider – Dietro la verità” (1999) di Michael Mann, da “Good Night and Good Luck” (2005) di George Clooney a “State of Play” (2009) di Kevin Macdonald.
Ed ecco che ora approda nelle sale italiane “Il caso Spotlight” diretto da Tom McCarthy (già attore in “Good Night and Good Luck”), il film sul giornalismo investigativo più acclamato dell’anno, che dopo il debutto a Venezia ha vinto negli Usa i principali premi della critica e del cinema indipendente, ha avuto sei nomination agli Oscar ed è favorito per la statuetta alla miglior sceneggiatura.
È la storia di come a Boston nel 2001 si indagò e si lanciò la campagna contro i preti pedofili. Perfetto film di genere, è una macchina senza sbavature ambientata nel mondo del giornalismo americano, uno di quei film che periodicamente arrivano a fare sensazione come gli eventi che li hanno ispirati (il Watergate appunto), con figure emblematiche a sostenere il racconto.
Siamo al “Boston Globe”, deve arrivare un nuovo direttore e già dalle prime battute entriamo nel linguaggio scabro fatto di partite di poker, risposte fulminanti e poche chiacchere. I capi redattori coordinano (Michael Keaton), i cronisti scalpitano, e poi, per par condicio, ci sono anche una donna (Rachel McAdams) e un outsider di origine portoghese (Mark Ruffalo), che non molla la presa finché non arriva in fondo. Ora ha per le mani il caso di un prete che ha molestato dei bambini. Ma può un giornale i cui lettori sono più della metà cattolici dare il via a un’inchiesta devastante sulla Chiesa? Anche il nuovo direttore è un personaggio che fa scalpore, che va dritto allo scopo di rendere indispensabile il quotidiano, in un’epoca in cui internet azzera le vendite. Di poche parole, ebreo, ha una strategia in mente e indirizza le ricerche verso una strada di non ritorno (come succederà), facendo scoppiare un caso di cui ancora si parla.
È molto interessante, nel “Caso Spotlight”, seguire il meccanismo del giornalismo investigativo raccontato nei minimi dettagli. Ovvero: non uscire allo scoperto se prima l’indagine non sia stata completata nelle prove e nelle testimonianze. L’inchiesta infatti durerà parecchi mesi a partire dai primi tredici casi di preti conosciuti, fino ai novanta che emergeranno via via, alle interviste senza mezzi termini a base di: “La gente vuole sapere i particolari. Dove è successo? Quando è successo?”. Il gruppo dei cronisti è lanciato sulle piste dell’avvocato (Stanley Tucci) che difende le vittime delle violenze, e che patteggia direttamente con la Chiesa ottenendo altissimi risarcimenti (sono stati recentemente calcolati in quasi un miliardo di dollari negli Usa, di cui 21 milioni solo a San Francisco).
Quello del regista e sceneggiatore Tom McCarthy, nato nel New Jersey con studi a Boston - che ha firmato tra gli altri “Station Agent” (2003) e “L’ospite inatteso” (2007) - è esattamente il film che ci si aspetta: un cast di ottimi attori, puntuale e diligente nella messa in scena, preciso e solido nella scrittura, nel montaggio, nel raccontarci lo scandalo dell’arcidiocesi di Boston, nelle indagini dei cronisti, e infine, e soprattutto, nel dolore delle vittime. Un’altra morale è data dalla passione per il proprio giornale e per il lavoro inteso come missione, che prevale su ogni altro sentimento.
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