Magris e quella Madonna contesa in Romania

Ricorda lo scrittore: «Era il 1984, ci siamo giocati a testa o croce un’incisione»
Di Mary B. Tolusso

Intellettuale poliedrico, Umberto Eco, una personalità che si è distinta non solo all'interno dell'Accademia. Accademica è stata gran parte della sua produzione saggistica, con libri legati al dibattito filosofico e culturale. Ma non possiamo dimenticare l'esperienza del Gruppo 63 che in parte ha contraddistinto anche il suo profondo interesse per la cultura di massa.E non si possono tralasciare il senso e la passione ludica, le tante "Bustine di Minerva" tese a illustrare e produrre giochi di parole.

«Ho amato molto la sua produzione saggistica - dice Mauro Covacich - lì dove il suo peso di teorico riusciva a essere tradotto con una certa leggerezza, forse in tal senso è stato il primo intellettuale a osservare anche fenomeni di basso profilo, basti pensare all'ironia e all'acutezza di "Diario minimo", sono stato meno colpito dall'Eco romanziere».

È sempre stata dibattuta la figura dell'intellettuale con estro artistico, come se l'intelligenza analitica non potesse legarsi a quella creativa. Se anche fosse vero, Eco certo ha contraddetto la regola: «Di Umberto Eco resterà per sempre la sintesi rara di invenzione letteraria e la capacità di critica razionale - dice Claudio Magris - mi ha segnato soprattutto il suo "Apocalittici e integrati". Un libro che ci aiuta a vivere con spirito critico, senza ansie sconcertate e senza passiva condiscendenza, le trasformazioni incredibili che stanno mutando la nostra vita. Voglio ricordare della nostra amicizia, soprattutto, i giorni belli passati in Romania, quando io ero preda dei miei furori danubiani, nel 1984. Ci siamo giocati a testa o croce una bellissima incisione di una Madonna. Ho vinto io, ma lui non si rassegnava e voleva invalidare il risultato di quel verdetto».

A proposito di gioco: «Era uno che sapeva mettersi in gioco - osserva Pier Aldo Rovatti - e lo ha fatto sul piano letterario, filosofico e politico. Soprattutto ha detto diverse cose interessanti intorno alla stessa idea di "gioco", l'ho sempre ritenuto un personaggio eccezionale».

Chi l'ha conosciuto non dimentica la sua simpatia, l'umanità che lo caratterizzava. Così lo descrive una delle sue traduttrici per lo sloveno, Veronica Brecelj: «Lo ricordo in un convegno a Pola, avevamo tutti molta soggezione mentre lui ci mise a nostro agio con poche battute». E anche Paolo Rumiz mette in luce il tipo di umanità: «Andai a casa sua per dei consigli intorno a un viaggio. Mi riempì di dati con grande generosità e alla fine tirò fuori una bottiglia di whisky».

Un intellettuale trasversale, sostiene Federica Manzon: «Mi ha insegnato che la vera cultura è curiosità, libertà di giudizio, capacità di sfuggire alle gabbie dei generi». Giorgio Pressburger ricorda invece la sua opera di divulgatore: «Soprattutto negli anni '70, diffondendo importanti autori ancora sconosciuti». C'è chi, come Alberto Garlini, apprezza anche il romanziere: «Ma di più la capacità di sdoganare molta cultura che prima veniva considerata di serie b». A colpire Boris Pahor è invece la moderazione: «Ho sempre apprezzato la sua modestia, nonostante l'erudizione, e la capacità di essere molto critico con eleganza».

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