Marian Izaguirre, una storia d’amore nella Trieste della caccia agli sloveni

Esce oggi il romanzo “I passi che ci separano” della scrittrice spagnola
Di Alessandro Mezzena Lona

di Alessandro Mezzena Lona

Storie così, finora, le raccontavano in pochi. Qualche scrittore di frontiera come Fulvio Tomizza, Claudio Magris, Boris Pahor. Al massimo qualche saggista. Adesso scopriamo che Trieste con il suo tormentato passato, le feroci divisioni interne mai davvero superate, è riuscita a contaminare anche l’immaginario di autori molto più pop. Come Marian Izaguirre, spagnola di Bilbao, autrice di grande successo non solo nel suo Paese. Conosciuta in Italia per “La vita quando era nostra”. Un bestseller tradotto in tutta Europa.

Arrivata al debutto narrativo nel 1991 con il romanzo “La vida eliptica”, autrice premiata con riconoscimenti come il Premio de Novela Ciudad de Salamanca, Marian Izaguirre ha preso Trieste come centro di gravita del suo romanzo “I passi che ci separano”. Tradotto adesso in italiano da Giulia Zavagna, esce oggi pubblicato da Sperling & Kupfer (pagg. 360, euro 19,90).

Mescolando la Storia con i sentimenti, le follie di inizio ’900 con le irrequietezze degli anni Settanta, avvenimenti di portata europea come l’impresa fiumana di Gabriele D’Annunzio con una serie di vicende personalissime, Marian Izaguirre ha saputo costruire un romanzo appassionante, documentato, corretto nelle citazioni. Che si fa leggere con piacere e tormento.

La scrittrice di Bilbao, che vive tra Madrid e Barcellona, ha deciso di far ruotare la sua storia attorno a un giovane spagnolo, Salvador, che arriva a Trieste negli anni Venti con il sogno di diventare scultore. Fuggendo da suo padre, che lo vorrebbe totalmente coinvolto nelle attività commerciali della famiglia, e forse anche da se stesso. Visto che non è convinto nemmeno lui che quella dell’arte sia la strada giusta da seguire.

La storia si ingarbuglia fin dalle prime pagine quando il ventenne sognatore si imbatte, mentre a Trieste soffia fortissima la bora, in una ragazza di poco più vecchia di lui. Edita è slovena, è già sposata ed è mamma di una bambina: Jana. Eppure Salvador non smette per un istante solo di pensare che quella sia la donna più bella del mondo. E che lui la desidera, la vuole, non può rassegnarsi a perderla.

E non smette di pensarlo nemmeno quando lei racconta di essere arrivata a Trieste per puro caso. Seguendo il marito, un violoncellista croato. La passione improvvisa e travolgente di Salvador non si fa condizionare dall’incertezza di Edita. Dal fatto che lei, come tutti gli sloveni di Trieste, sta vivendo un momento drammatico. Perché gli irredentisti prima, e i fascisti poi, urlano a squarciagola che la città è tornata a essere, e lo sarà per sempre, italiana. Fino a quando un manipolo di squadristi, capeggiati da Francesco Giunta, si spinge a incendiare sotto gli occhi di tutti il Narodni dom, simbolo della cultura slovena.

Ma l’amore è più forte della violenza. E anche della paura. Edita, terrorizzata per le sorti della propria gente, angosciata dal rapporto conflittuale con il rigido marito Gottfried, che si riflette negli occhi allarmati della sua bimba, non sa trattenere più i tempestosi sentimenti che la spingono verso Salvador. Tanto che l’adulterio diventa conclamato quando se ne accorge perfino Sergio Spalic. Lo scultore, il maestro del giovane spagnolo. Un uomo destinato a diventare pedina importante del potere fascista a Trieste.

La storia di Salvador, nel romanzo di Marian Izaguirre, si va a intrecciare al destino di Marina. Una ragazza smarrita e confusa come lui, che abita gli anni ’70. Quando l’ormai affermato scultore, che spende gli ultimi brandelli di vita nel ricordo di Edita, la coinvolgerà in un viaggio della memoria. Verso la Jugoslavia di Tito, dove abita, dimenticata da tutti, la piccola Jana. Diventata ormai donna. Cresciuta in compagnia di un ricordo straziante: quello di sua madre che se ne va con un altro uomo. Mentre lei e suo padre vengono portati lontani. Al confino. Per riconsegnare una Trieste ripulita dalla presenza slovena al Duce, Benito Mussolini, in visita in città.

Nell’intrecciarsi di storie, una colpirà il lettore con forza. Quella dell’«Annunciata», lo splendido dipinto di Antonello da Messina. La Madonna pensosa e contrariata che Gabriele D’Annunzio regala a Fiume allo scultore Sergio Spalic. Oggetto di scambio in un mondo confuso, pieno di rabbia e di violenza. Insensibile, ormai, anche alla bellezza.

alemezlo

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