Otto ore per il film filippino e in sala si va in abito da sera

BERLINO. Una giornata particolare, alla 66° Berlinale, all'insegna dell'orgoglio filippino. Ieri l'attesa e altrettanto temuta proiezione (unica per pubblico e stampa) del torrenziale film in concorso "A lullaby to the sorrowful mystery" firmato da Lav Diaz, al secolo Lavrente Indico Diaz, idolo dei cinefili più agguerriti. Otto ore e cinque minuti sprofondati nelle comode poltroncine della Berlinale Palast fin dalle 9.30 del mattino, con pausa spuntino, per immergerc nella storia delle Filippine e della lotta ai coloni spagnoli, cullati da immagini sontuose in un raffinato bianco e nero, i suoni della foresta e, di tanto in tanto, la ninna nanna del titolo, intonata al suono dolce di una chitarra. Oggettivamente arduo. Ma gli estimatori del regista non si sono fatti intimidire dalla durata del film, neppure il suo più lungo. Il precedente "From What is Before", "solo" cinque ore e mezza, aveva conquistato il Pardo d'Oro a Locarno nel 2014, e in passato il suo cinema ha raggiunto anche le nove ore. E non si tratta di un caso isolato, se si pensa che Andy Warhol, nel 1964, ha osservato l'Empire State Building in "Empire" per più di otto ore e il "Satantango" del grande Béla Tarr, più di sette ore, è considerato, a ragione, una specie di miracolo cinematografico. Se poi ricordiamo che "Berlin, Alexanderplatz" di Fassbinder durava quindici ore e mezza (tanto da essere trasmesso in tv come una serie a puntate), e che sommando tutti i capitoli dell'"Heimat" di Edgar Reitz si superano le 60 ore, il film di Diaz, non il suo migliore, può quasi essere considerato un cortometraggio.
Si scherza, ovviamente, solo per dire che il cinema non si misura in minuti e se a una durata "monstre" corrisponde una grande idea, la gente risponde. E infatti fin dal giorno precedente, teutonicamente ligi alle disposizioni, sia il pubblico che gli accreditati si sono messi in fila per il biglietto d'ingresso. Trattandosi dell'unica proiezione, sul red carpet si sfila in smoking e vistosi abiti da sera già alle 9 del mattino (il regista aggiunge alla giacca di shantung un tocco "urban" con sciarpa di lana adatta al clima) e in attesa di poter accedere alla proiezione cominciano a circolare alcune leggende. La sera prima, si dice, Diaz si sarebbe trattenuto fino a mezzanotte al photocall, al termine del quale avrebbe costretto lo staff tecnico a una notte insonne per controllare in sua presenza la copia del film. Forse non è vero, ma è talmente bello che vale la pena crederci. Nel pigia pigia generale, giornalisti che si sono ribellati all'ordine di abbandonare al guardaroba gli zainetti con gli attrezzi del mestiere e colf in libera uscita armate di smartphone e paillettes per una giornata speciale da raccontare ai nipoti. Qualcuna si sbraccia per salutare le glorie nazionali e quasi ti cava un occhio, ma poi si giustifica: "Sorry, soy filipina!".
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