Vita di Mario da Pirano che scese nella foiba

di Mary Barbara Tolusso
Quanti libri sono stati scritti sull'Esodo istriano? Con un rapido rewind di memoria ci vengono in mente molti autori che hanno affrontato quella diaspora forzata ad iniziare da Fulvio Tomizza, per proseguire con Marisa Madieri, Nelida Milani, Diego Zandel, Marco Coslovich e molti altri. Addirittura Stefano Zecchi ha trattato la questione in "Quando ci batteva forte il cuore". D'altra parte fu un esodo lento, tortuoso e inesorabile, centellinato dalla storia con le false speranze di una possibilità di salvezza della propria terra.
Furono molti gli anni impiegati per decidere che fare di quelle zone, anni sospesi alla Linea Morgan, fino al Memorandum di Londra quando le illusioni furono totalmente recise. È naturale quindi chiedersi perché, oggi, un ulteriore testo su questo tema? È una questione che non va dimenticata, sia chiaro, ma certo non rinverdisce le già poco verdi aiuole della letteratura italiana.
Vero è che . "Il testimone di Pirano" (Infinito Edizioni, pag. 112) di Laila Wadia, nella storia di Mario Valente - per tutti Mario de Laura - si inserisce inevitabilmente nell'epoca. Ci fa sostare in quello che una persona prova, fa e pensa per rimanere in piedi quando una lingua, un paesaggio e un'identità devono subire la costrizione della perdita.
Dice bene Pietro Spirito nell'introduzione, la trama: «A tanti anni di distanza mostra più che mai le cifre universali di ogni fuga di popoli e di genti costrette dalla Storia ad abbandonare la propria casa, la propria cultura, la propria identità, ieri come oggi. E il corollario degli eccidi nelle foibe, evoca i ciechi massacri che in Paesi nemmeno troppo lontani da noi altri poteri sanguinari perpetrano contro persone altrettanto innocenti». Non siamo così distanti da certa realtà. Lo vediamo ogni giorno nei tragici episodi di migliaia di profughi pronti a sobbarcarsi qualsiasi sfida, anche la vita, pur di fuggire. Ma soprattutto assistiamo alle accoglienze incerte, spesso incapaci di un'autentica accettazione. E se allora gli italiani facevano fatica ad accettare altri italiani, figuriamoci gli stranieri.
Wadia ha il merito di farci entrare in empatia con Mario, baricentro di un paesaggio trasfigurato, un uomo non privo di coraggio, ma soprattutto una sorta di anarchico incapace di capire le ragioni politiche, gli interessi, la guerra. Incapace di accettare le violenze identitarie, il giudizio di un uomo su un altro uomo a causa della sua diversità culturale, linguistica. E al quale si dovrà e di deve rispetto, come nota Luca Leone nella postfazione.
Laila Wadia, nata in India, residente a Trieste e autrice di romanzi quali “Amiche per la pelle” (da cui è stato tratto un film), “Come diventare italiani in 24 ore” e “Se tutte le donne”, ci accompagna dentro la sua storia, grande e piccola, dall'infanzia alla vecchiaia e intanto ci regala chicche di chi la vita l'ha vissuta davvero: «La cosa più triste dell'età matura non sono le malattie o gli acciacchi; e nemmeno i sempre più frequenti vuoti di memoria. È la crescente, irrefrenabile, fragilità del cuore».
E il cuore frana in questo libro, è assicurato. Frana nel tentativo di conciliare la famiglia per lo strappo dalla propria casa, frana per la fine degli amici e per la fine di un tempo che assomigliava alla parola felicità. Frana per i suicidi di chi non se l'è sentita di partire. Ma soprattutto frana nella meticolosa e perfetta descrizione della calata nella foiba di Vines, agghiacciante nella sua evocazione, emotiva nelle reazione di chi c'era. Merito di una lingua sobria, equilibrata, mai retorica.
Merito anche di Mario, protagonista romanzato ma reale, una vita passata a lottare, dotato di quell'intelligenza schietta che indaga ogni realtà, pescatore, pittore, pompiere, ma anche metronotte che vegliando in bicicletta la sicurezza del suo paese ricorda quanto ha imparato da quelle finestre notturne: «Di giorno la gente indossa una maschera; è di notte che uno è veramente se stesso. E poi, ricchi o poveri, quando cala il sipario delle stelle, sono tutti uguali».
©RIPRODUZIONE RISERVATA
Riproduzione riservata © Il Piccolo








