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Sospesi, un mese dopo l’alluvione: vite e storie di chi ha perso tutto

Edoardo Di Salvo

Il nostro viaggio a Brazzano e Versa dove sono morte due persone, Querin e Guerrina. In molti vivono ancora lontano dalle loro case: «Stiamo ancora cercando di comprendere cosa sia successo»

Silenzi diversi, sguardi simili. A un mese dalla tragedia del maltempo che ha messo in ginocchio le due comunità, la sensazione è che a Versa e Brazzano il dolore sia vissuto in modo diverso.  Nel luogo dell’alluvione è rotto dai mezzi di emergenza, da qualche saluto che, qua e là, si scambia chi si incontra per strada.

Nella borgata dove la frana ha ucciso due persone invece il silenzio è lugubre, quasi totale, espressione di lutto ancora vivo nei cuori dei residenti. Identici, invece, gli sguardi degli abitanti delle due frazioni.

Sguardi provati, stanchi, incerti. Ma desiderosi di riprendersi la propria vita, di riappropriarsi di quello che è stato portato via loro: case, affetti, ricordi, abitudini.  

Ed è per questo che Versa di Romans d’Isonzo e Brazzano di Cormons provano a rialzarsi, a circa quattro settimane da quel 17 novembre, destinato a lasciare un segno indelebile nella memoria delle due comunità.

Versa, incertezza e ripartenza

«Mia madre da quel giorno non è mai scesa a vedere cos’è successo. Non ne ha il coraggio». Basterebbe queste parole di Stefano Careddu a descrivere il sentimento degli abitanti di Versa. Il racconto di un’anziana signora che si rifiuta di vedere come sia ridotta la borgata nella quale ha sempre vissuto. Lui vive qualche chilometro lontano da Versa, ma il giorno dell’alluvione è stato tra i primi a raggiungere la borgata con il canotto. Qui, infatti, abitano i suoi genitori, che non hanno mai voluto lasciare la casa di via Oberdan. 

 

«Mi è mancato tutto» – racconta il padre, Giuseppino, 86 anni, mentre ravviva il camino, tra i pochi elementi che ancora compongono il soggiorno. «Se non fosse stato per l’aiuto dei miei figli e dei vicini avrei lasciato tutto così, non ho più la grinta per superare questo brutto colpo». Proprio l’unione dei residenti è stato un elemento determinante in queste settimane difficili: «In questa tragedia – spiega ancora Stefano – si è riscoperto il senso di comunità, ci si scambia oggetti e macchinari utili con i vicini, ci si aiuta a vicenda». 

I signori Careddu abitano a due passi dalla piazza centrale del borgo, fulcro di questo periodo di emergenza. Qui, tra i gazebo allestiti dalle protezione civile, si servono pasti (ogni giorno 70-80 persone ancora sono costrette a utilizzare questo servizio) si coordinano gli aiuti e si offre conforto ai cittadini.

Il pittore e designer Dario Delpin pulisce il suo giardino finito sott'acqua nella sua casa di Versa
Il pittore e designer Dario Delpin pulisce il suo giardino finito sott'acqua nella sua casa di Versa

Fra questi incontriamo il pittore e designer Dario Delpin e la moglie Alessandra. Ci invitano a casa loro, dove l'acqua ha sommerso piano terra e garage. «Ho perso due macchine, di cui una comprata nuova sei mesi fa», racconta Delpin mentre ci mostra i danni causati dall’alluvione: «Quando sono sceso al piano terra ho trovato tutto rovesciato. Piatti, bicchieri, scarpe, oggetti di una vita. È andato tutto distrutto».

Se nello studio dell’artista, a pochi metri dall’abitazione, l’acqua è stata più clemente e non ha intaccato eccessivamente le opere, più danneggiata invece la collezione dei quadri che la coppia di coniugi teneva in casa. «Guardi in che condizione è», ci dice Alessandra, con la voce che riverbera tristezza, mentre ci mostra, fra i tanti, un quadro originale dell’attore friulano Fred Pittino.

Tornando verso la piazza, incontriamo Martino Capas, anche lui proprietario di un’abitazione finita sott’acqua. Lui non vive qui, è riuscito a entrare nella casa che ha ereditato dalla famiglia soltanto il giorno dopo l’alluvione, quando le acqua si sono ritirate. «Quando sono arrivato era tutto ribaltato, immerso nel fango. Grazie alla Protezione civile siamo pian piano riusciti a pulire gli ambienti. Solo questa è rimasta miracolosamente in piedi», racconta, indicandoci una antica vetrina dove sono custoditi alcuni ricordi di famiglia. «La terrò come ricordo di questo disastro».

Viaggio a Versa, a un mese dall'alluvione: una comunità che riparte

Brazzano, dentro il lutto

A poco a poco che ci si allontana in macchina dal centro di Versa, sparisce anche quel poco di fango che ancora annerisce le strade. La normalità dura appena venti chilometri, questa è la distanza che separa la frazione di Romans da Brazzano, l’altro luogo simbolo del dramma di quel 17 novembre. I fiori, le candele, gli omaggi a Quirin Kuhnert e Guerrina Skocaj sono lì, in un angolo, nello slargo principale della frazione, all’inizio di via San Giorgio, la strada dove abitavano e dove hanno trovato la morte.

Alcuni messaggi lasciati sul luogo dell'omaggio a Quirin e Guerrina

A distanza di un mese, qui la voglia di parlare è ancora poca. Le strade sono semi deserte, tra le poche persone che incontriamo e che accettano di scambiare due parole con noi c’è Dario Juric, che abita a pochi metri dalle case su cui si è abbattuta la frana.  La sua abitazione si trova nell’area identificata come zona gialla, la più “sicura” in termini di rischio di nuove colate.

 «Noi siamo potuti rientrare dopo circa una settimana, ora tutti insieme ci stiamo dando da fare per ripartire. Il senso di comunità che si è riscoperto è stato, nel dramma, un elemento positivo». Nei pensieri di tutti, comunque, resta quel monte, e la possibilità che quello che è accaduto possa accadere ancora. 

La zona rossa di Brazzano. Foto Petrussi

«Non posso dire di avere paura – racconta Juric – abitando qui da 45 anni ho visto poche piogge così intense come quel giorno. Certo, una punta di timore c’è, soprattutto per la zona rossa». Sì, perché l’area di Brazzano, come accennato, è stata divisa in tre livelli di rischio: zona gialla, arancione e rossa. Se nella prima le persone sono potute rientrare in casa dopo pochi giorni, nella seconda e nella terza le abitazioni sono ancora inagibili, per la possibilità di nuovi smottamenti. 

Fra gli sfollati a Brazzano, un mese dopo la frana: "Viviamo sospesi in un tempo che tende all'infinito"

Da un mese senza casa

Le persone, una ventina, che abitavano in questi luoghi sono temporaneamente ospitate nell’hotel Villa Felcaro di Cormons, aperto eccezionalmente proprio per dare un tetto agli sfollati. Quando entriamo nell’area della reception, troviamo diversi di loro seduti, in cerchio, sui divani. A prendere la parola per primo è Giorgio Deganis, dall’azienda vinicola Zorzon di Brazzano. «Premetto che qui in albergo l’ospitalità è eccezionale. Certo, questa situazione crea problemi enormi soprattutto a livello lavorativo. La mia azienda è completamente ferma, malgrado non abbia registrato alcun danno. Non ho L’unica cosa che posso fare è, accompagnato dai vigili del fuoco, rientrare per pochi minuti per prendere alcune cose».

Una parte degli ospiti dell'hotel Villa Delcaro. Da sinistra, Eliana Pinto, Fulvio D'Odorico,Gabriela Matei, Giorgio Deganis e Petra Lind
Una parte degli ospiti dell'hotel Villa Delcaro. Da sinistra, Eliana Pinto, Fulvio D'Odorico,Gabriela Matei, Giorgio Deganis e Petra Lind

Una fetta di comunità che vive nell’incertezza visto che le informazioni latitano. «Siamo fuori di casa da un mese e nessuno ci ha ancora parlato del progetto che si sta delineando per noi, di tempi e modalità per tornare a una parvenza di normalità». L’abitazione e l’azienda di Deganis si trovano in zona arancione, così come le case di Fulvio D’Odorico e Eliana Pinto. «È una situazione di profondo stress, lasciare la propria casa dentro una vita non è il massimo. Speriamo la situazione si sblocchi presto», racconta D’Odorico. «Noi siamo relativamente fortunati, perché le nostre case hanno subito solo lievi danni», sottolinea Pinto.

Situazione più delicata invece per Davide Dissegna, la cui casa dove vive con la moglie e due figlie, si trova in zona rossa. La famiglia non vive a Villa Felcaro, avendo trovato un’altra sistemazione provvisoria. «Stiamo ancora capendo cosa sia successo. Dobbiamo capire cosa fare, visto che ci hanno parlato di tre anni prima rientrare nelle nostre case. Un tempo che tende all’infinito».

Ci hanno parlato di tre anni prima di rientrare nelle nostre case. Un tempo che tende all’infinito

Un duro colpo per una famiglia che, dunque, è costretta a ripensare la propria vita: «Il Comune si è offerto di aiutarci, ma non è facile trovare in poco tempo una soluzione adeguata. Con due bambine non possiamo permetterci di sbagliare, rischiando di trovarci a vivere male. Non sarebbe giusto per noi». Dissegna concorda sul lato positivo che è emerso da questa vicenda. «Tra di noi si è creato un senso di comunità che non mi aspettavo. È il sintomo che in questo momento siamo tutti a terra». Uno smarrimento a cui si accompagna anche la beffa. «Non ci arrivano nemmeno le lettere – racconta Deganis – . Ci avevano detto che ce le avrebbero fatte recapitare qui in albergo, ma per ora siamo costretti ad andarle a ritirare di persona a Gorizia».

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