Un nuovo incubo per Trentini: preoccupano i venti di guerra in Venezuela
Al Lido di Venezia in ansia per le sorti del cooperante Alberto Trentini a causa dell’escalation militare tra Usa e Venezuela. La Farnesina monitora. Solo qualche settimana fa si era parlato di una possibile svolta, i genitori preferiscono non parlare

Tra due settimane, il 15 novembre, sarà un anno che, senza accuse specifiche, Alberto Trentini, il cooperante del Lido di Venezia, si trova incarcerato nel duro penitenziario di Caracas, El Rodeo I, in Venezuela.
Solo poche settimane fa sembrava vicino un concreto spiraglio per la sua liberazione. Ma ora tutto è in discussione per i venti di guerra tra Usa e Venezuela.
Roma e Caracas, infatti, solo lo scorso 19 ottobre avevano vissuto un’importante fase di disgelo. Sancito dalla stretta di mano fra il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella e la rappresentante venezuelana Yelitza Santaella.
Un gemellaggio tra il terzo municipio di Roma e il Libertador di Caracas con un concerto dell’orchestra sinfonica nazionale venezuelana in occasione della canonizzazione dei santi venezuelani José Gregorio Hernández Cisneros e Maria del Monte Carmelo Rendiles Martínez, decisa da Papa Leone XIV. Segnali importanti.
Dietro le quinte c’era stato il lavoro di tessitura dell’inviato speciale Luigi Maria Vignali. Ma in pochi giorni lo scenario si è nuovamente complicato.
Sul paese governato da Maduro incombe l’assedio Usa al largo del Venezuela. Gli Stati Uniti hanno inviato la portaerei Uss Gerald Ford che dovrebbe arrivare a destinazione la prossima settimana. Accompagnata da altre tre navi da guerra, per un totale di 4.000 militari a bordo.
Una azione decisa dal presidente Usa Donald Trump contro il narcotraffico. Per il ministro della Difesa Crosetto, «l’intervento contro il narcotraffico che arriva principalmente dal Venezuela sarà molto duro da parte degli Stati Uniti». Una situazione che rischia di rendere di nuovo un incubo il lavoro diplomatico per liberare i prigionieri politici come Alberto Trentini. Che non è il solo italiano detenuto.
In cella c’è anche Biagio Pilieri, sessantenne giornalista italiano con doppio passaporto, che vive da un anno e due mesi recluso in un altro carcere venezuelano, l’Helicoide. Una situazione difficilissima, quindi.
Al Lido i genitori di Alberto preferiscono non parlare. Così come gli amici impegnati perché la vicenda di Trentini si chiuda con la sua liberazione. Anche la Farnesina è alla finestra: dal ministero degli Esteri riferiscono che il ministro Antonio Tajani sta seguendo con grande cautela il dossier Venezuela: «Vediamo quale sarà la reazione dei venezuelani». L’ultima telefonata della presidente del Consiglio Meloni alla famiglia Trentini è di un mese fa.
La scelta del silenzio è l’unica strategia per sperare in una soluzione positiva. Lo ammettono anche Ottavia Piccolo e Beppe Giulietti che con l’associazione “Articolo 21” si sono subito mobilitati per la liberazione di Trentini. «Il momento è delicato, non è il tempo di parlare»,taglia corto l’attrice.
«Sono ore di attesa, ansiosa. La famiglia sceglie il silenzio. Lo comprendiamo. Io davanti a questa situazione internazionale sono molto preoccupato perché, va detto, sia Trump che Maduro non mettono al primo posto il rispetto dei diritti umani», incalza il giornalista Beppe Giulietti. E di situazione delicatissima parla il patriarca di Venezia, Francesco Moraglia dopo l’omelia per Ognissanti al cimitero di Mestre. «Noi cittadini, amici, conoscenti possiamo fare in questo momento solo una cosa: pregare» ha sottolineato Moraglia.
«Sono situazioni politiche molto complicate, molto complesse, in cui giocano elementi in cui un passo sbagliato significa danneggiare la persona. Noi quello che è possibile fare, e noi siamo a conoscenza di quello che si può fare, lo si fa. Ma occorre evitare di danneggiare. Quando ci sono persone private della libertà, in mano a ordinamenti giudiziari che sono lontano anni luce dai nostri, occorre fare questo. Io prego per Alberto, per la mamma. Per chi soffre del protrarsi di questa situazione. Sapessimo di un gesto possibile da fare che non lo danneggi, lo faremmo subito», ha concluso il patriarca Moraglia rispondendo alle domande dei giornalisti. Intanto gli amici continuano a tenere alta la attenzione sulla necessità di liberare quanto prima Alberto.
Con una mobilitazione estesa: il primo novembre è stato il 240esimo giorno di digiuno a staffetta e oltre 110.560 le firme su Change.org, per chiederne la liberazione. Migliaia i volti nel “muro della speranza”, per chiederne il rilascio. La Regione Piemonte è scesa in campo chiedendo al governo di “intervenire con urgenza” per il rilascio del cooperante e degli altri detenuti.
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