Antognoni: «Il nostro ct ha scelto bene»

«Anche nella mia Italia del 1982 Bearzot fu criticato e poi vincemmo il Mondiale»
Di Tomas Maschietto

Per Giancarlo Antognoni la Nazionale di Prandelli più diventare protagonista assoluta in questo Mondiale, «ma solo se resterà unita e i giocatori ascolteranno consigli e indicazioni del ct». Antognoni, 60 anni compiuti il primo aprile scorso, regista della Fiorentina dal ’72 all’87 e campione del mondo con l’Italia di Bearzot nell’82 si sta godendo i Mondiali in Brasile da spettattore. Ma conosce benissimo le dinamiche all’interno di uno spogliatoio. Soprattutto quelle della Nazionale. Per questo motivo è convinto che dopo le critiche per le convocazioni la squadra non poteva che reagire compatta, dando prova di forza contro l’Inghilterra. «È come se gli azzurri ce lo avessero nel loro dna – afferma Antognoni – ogni volta che ci sono malumori e critiche dall’esterno che lascerebbero pensare a risultati deludenti, accade l’opposto ed è così che si può arrivare fino in fondo ».

Partiamo dalle scelte di Prandelli che non sono state condivise del tutto dai tifosi. Soprattutto per aver lasciato a casa Pepito Rossi e Luca Toni.

«Adesso non sarebbe giusto fare un processo al commissario tecnico. Solo i risultati finali potranno consentire di criticare o meno le decisioni del ct. Io sono stato tra i protagonisti dei Mondiali vinti in Spagna nell’82 e anche quella Nazionale, allenata da Enzo Bearzot, è stata bersaglio di critiche feroci. Roberto Pruzzoaveva vinto la classifica dei marcatori, ma Bearzot lo lasciò a casa preferendogli Paolo Rossi che aveva giocato poco quell’anno. Sappiamo tutti come è andata a finire e chi fu protagonista in quell’edizione, no?».

Chi sarà il giocatore azzurro che può fare la differenza?

«Io non parlerei di un giocatore in particolare. La differenza la faranno i giocatori più esperti. I "senatori" del gruppo come Gigi Buffon, Andrea Pirlo, Daniele De Rossi. E ovviamente Mario Balotelli».

A proposito di Balotelli: Brasile 2014 sarà l’occasione per la sua definitiva consacrazione?

«Mario sta migliorando a vista d’occhio. Sono davvero contento della sua crescita. Ha grosse potenzialità e se ascolta i consigli di Prandelli può diventare ancora più forte. Mario deve capire che fare il calciatore non significa solo scendere in campo, ma è un mestiere che ti pone di fronte a moltissima altra gente come i tifosi o appunto i giornalisti. Oggi quello che manca di più nel mondo del calcio professionistico è il dialogo tra i giocatori e i tifosi».

I Mondiali sono sempre uno spettacolo per chi ama il calcio. Lei che ricordi ha di quelli che ha disputato?

«Ne ho giocati due, nel 1978 in Argentina sotto un regime di dittatura rigido che ci costringeva a uscire scortati da quattro guardie del corpo per giocatore. E quello in Spagna. Ero il regista titolare e il primo rigorista della squadra. Mi sono fatto male in semifinale e ogni volta che vedo i video celebrativi della nostra vittoria in finale contro la Germania, mi viene il magone per non avere potuto giocato quella partita».

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