Chef Rubio promuove il nuovo corso azzurro «Possiamo crederci»

L’EX TERZA LINEA OGGI ANCHE COMMENTATORE TV: CI SONO BUONI SEGNALI MA APRIAMO AI GIOVANI
Di Alessandro Cecioni

È il personaggio più amato di DMax con il suo “Unto e bisunto” e per questo una delle anime di Rugby Social Club, il programma live che accompagna tutte le 15 dirette sulle partite del Sei Nazioni su DMax (canale 52). Gabriele Rubini, Chef Rubio va a bordo campo dove gioca l’Italia. Il rugby lo ha avuto nel sangue prima della cucina. Frascatano di nascita ha giocato a Parma, Rugby Roma, Poneke, in Nuova Zelanda, poi di nuovo Rovigo e Lazio. Più di 20 presenze al massimo livello (Eccellenza e Super 10), terza linea ala di sostanza. «Abile con le mani, ma anche bei placcaggi», dice. Suo Fratello, Giulio, da estremo e ala ha giocato anche quattro volte in azzurro sotto la guida di Nick Mallett.

Terza linea, un ruolo difficile, Mario Lodigiani, compianto tecnico federale, definiva i flankers «gli incrociatori che difendono la portaerei», «Un ruolo che resta addosso, un destino. La capacità di prendersi sulle spalle grandi pesi, la fatica, le responsabilità per poi lanciare in meta i più veloci. In campo e fuori».

Come con il progetto “Segni di gusto” con l’Istituto nazionale per sordi di Roma.

«Collaboriamo da due anni, sulla Lis, (linguaggio dei segni ndr), siamo alla preistoria. La burocrazia si ostina a non riconoscerla come lingua».

Cosa le piace del rugby?

«La possibilità di essere tecnici, ma anche aggressivi, battere l’avversario, essere solidale con i compagni. Non ho mai visto grandi differenze fra attacco e difesa. E nel placcaggio più che il mio piacere c’era il dolore degli avversari, avevo una buona capacità con le mani, nel passaggio, me la riconoscevano tutti».

Va a giocare in Nuova Zelanda e lì scopre la cucina.

«In Italia avevo cucinato, mi piaceva, ma come lavoro non ero andato oltre il lavapiatti. Là per mantenermi ho fatto il cuoco…».

Lo chef.

«Chef è un termine che usate voi, spesso a sproposito. Il cuoco. Cucina internazionale, di italiano c’eravamo io e l’attitudine a cucinare».

Non ha mai pensato di fare l’allenatore?

«Da giocatore sono andato spesso nelle scuole a insegnare il rugby. Mi piaceva, sarei un buon allenatore, è la mia attitudine. Spiegare, fare da tramite, aiutare a capire chi magari è lontano da quell’argomento, sia cucina o rugby. Come Chef Rubio, a proposito il nome viene da Rubio il soprannome che mi avevano dato i compagni della Lazio, e come commentatore a bordo campo».

Guardando Rugby Social Club si ha la sensazione che vi divertiate molto.

«Siamo un bel gruppo, persone che conosco e stimo. Sopra a tutte Daniele Piervincenzi, bravo conduttore ma anche ottimo giornalista, un grande professionista. Siamo amici anche fuori dal campo».

Che Sei Nazioni sarà per l’Italia?

«Se siamo rispettati è solo merito di chi è andato in campo in questi anni. Io spero arrivino buoni risultati, ci sarà impegno, venderemo cara la pelle. O’ Shea non l’ho ancora incontrato ma per quanto ho potuto vedere lo stimo molto. Il rugby si evolve ogni due-tre anni, io ho smesso nel 2011 e oggi vedo molta più velocità. Per fortuna in Eccellenza sono arrivati un po’ di soldi, ci sono buoni stranieri, si investe sui talenti. Ma non come servirebbe: la federazione dovrebbe dare più soldi per i giovani, e non solo alle accademie. Anche là dove c’è un grande potenziale ma non ci sono strutture. Penso al Sud, alla Puglia, alla Calabria, la Sicilia. Realtà abbandonate».

Un menù per il terzo tempo.

«Dipende da dove siamo, io metto in tavola sempre la tradizione locale. A Roma? Dei supplì, poi pasta, lasagne. E una bella grigliata, abbacchio scottadito. Birra e vino, li mettiamo lì, poi ognuno sceglie quello che vuole».

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