Francia in tilt ma favorita

PARIGI. Sessantadue anni ieri , Guy Novés debutta oggi da ct della Francia quattro decenni dopo quello da ala dei Bleus. Una vita nel Tolosa, è arrivato tardi al Sei Nazioni.Tardi rispetto l’offerta della Ffr nel 2011 per il posto di Marc Lievremont. Tardi rispetto alla corte serrata del presidente azzurro Giancarlo Dondi che nel 2007 lo voleva dopo Pierre Berbizier. Allora Novés, gestiva da manager del Tolosa un bilancio di 25milioni di euro. Lo stesso della Fir allora. Nel 2010 dopo 15 anni di attività con dieci scudi di Brenno e due coppe dei campioni, fu eletto il miglior coach dell’era Pro. Ha vinto sempre Novés, da giocatore, da allenatore del liceo di Pribac (sei titoli scolastici), con i rossoneri dal gioco più moderno e meglio eseguito. I profeti del riciclo allora appena sfornato dai filosofi del rugby.
Ma ora? Raccoglie una Francia a pezzi dopo la figuraccia ai quarti del Mondiale con gli All Blacks (62 punti) a chiusura del quadriennio nero dell’era di Philippe Saint-André pronto a dare una maglia a qualsiasi equiparato di passaggio. La Francia non emerge dalla finale mondiale del 2011 dove in completa autogestione perse 8-7 ad Auckland complice l’arbitraggio orbo di Craig Joubert. Dal 2011 ha perso due volte con l’Italia, ha collezionato un cucchiaio di legno e due quarti posti nel Sei Nazioni. E il Tolosa? Dal 2012 è all’asciutto in un Top 14 dominato dal Tolone che assomiglia all’Inter di Mourinho e carico di talenti stranieri (Parisse è stato nominato il re del 2015). C’è un parallelo nel declino della Francia e in quello del Tolosa.
Inoltre i Bleus hanno buttato via il tocco, il french flair, l’essere gli unici al mondo, nel loro giorno migliore, a poter battere chiunque. Hanno inseguito la filosofia del Sud di un gioco fermo al numero 10, di, scontri, di centri più grossi dei piloni. Ma con Novés si cambia. Tutti glielo chiedono. Frenare il declino. Ritrovare la grandeur.
L’esclusione del centro Bastareaud e l’inclusione dell’ala Vakatawa dalla Nazionale Seven sono il simbolo del ritorno alla corsa. Anche la scelta di Guirado come capitano è vintage. C’è solo un dubbio su Novés. Arriva tardi questo incontro con i Bleus, per l’età e per la capacità di rinnovarsi in un rugby in corsa? Oggi ne sapremo di più. Per ora fermiamoci alle parole di Novés amante delle metafore.
Guerra: «Si gioca a rugby come si va alla guerra, la maglia come la divisa delle nostre truppe. Dev’essere chiaro visto il contesto in cui viviamo, in quello che stiamo vivendo».
Navigare: «Se troppi stanno al timone quando c’è tempesta, è il modo più rapido di affondare la nave. Solo uno al comando». E riferito al suo film culto (L’ammutinamento del Bounty) prosegue: «Il buon capitano deve dare prova d’umanità, evitare sofferenza inutili, creare un clima di solidarietà».
Donare: «Da dilettante mi allenavo una volta alla settimana, non c’erano soldi e il risultato non era prioritario. Il vivere il rugby era pure eccessivo. Ora chi viene con i Bleus non lo deve fare per provare piacere ma per donare. È al centro di un sistema di sponsor e pubblico che gli permette di esprimersi professionalmente. Tutti vengono a vedere lo spettacolo e tu devi proporre qualcosa di attrattivo: il piacere è donare nell’esercizio del mestiere quotidiano».
Vincere o perdere: «Non puoi sempre vincere. Qualche volta perdi. Ma devi trovare le ragioni, relativizzare. Fare prova d’umiltà. Io non ho mai messo la testa in un buco quando ho perso. Con il mio staff ho vinto 16 volte in 25 finali. Sono sempre partito dalle sconfitte. Nel 1996 dopo aver preso 77 punti dai Wasps, il Tolosa ha vinto il campionato».
Il tempo. «Da ct non ce n’è. Perché stai poco con i giocatori, perché l’alto livello è fatto di mille impegni. E allora quando si sta assieme non c’è tempo da perdere. Bisogna stare insieme il meglio possibile. Ho un’applicazione sul telefono che mi dice precisamente le mie priorità, da quando mi sveglio».
Fabrizio Zupo
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