IL BRASILE E LE DUE REALTÀ PARALLELE

di STEFANO TAMBURINI Non era facile ma ci sono riusciti. Sono sbarcati in una terra sacra per il calcio e sono arrivati a far odiare il Mondiale a sei brasiliani su dieci. Hanno proceduto a colpi di...
Di Stefano Tamburini

di STEFANO TAMBURINI

Non era facile ma ci sono riusciti. Sono sbarcati in una terra sacra per il calcio e sono arrivati a far odiare il Mondiale a sei brasiliani su dieci. Hanno proceduto a colpi di malaffare e di arroganza e lo scorso anno, durante la prova generale della Confederations cup, si sono trovati circondati in una sorta di bolla di cristallo da centinaia di migliaia di persone perbene incazzate nel profondo dell’animo perché mentre sorgevano stadi e altre infrastrutture, aumentavano i prezzi dei trasporti e di altri servizi. Il tutto sullo sfondo di notizie di inchieste per ruberie e scandali e per giunta in un paese dove la forbice fra chi sta bene e chi no è già ampiamente dilatata. Non poteva che nascere un’ondata di malcontento che il governo brasiliano continua con fatica a tenere lontana dal mondo fatato del grande calcio rimpinguando gli organici dell’esercito e della polizia. Quelli che hanno colpa – da una parte il governo di Dilma Rousseff e dall’altra la Federcalcio mondiale di Joseph Blatter – un giorno si lanciano accuse e un altro vanno a braccetto. La Rousseff – che in ottobre dovrà affrontare la sfida più dura, quella elettorale – ha perfino paura di presentarsi alla cerimonia inaugurale. E lo stesso vale per il capo dei capi del calcio, che rappresenta una formidabile macchina da soldi: nel 2013 entrate record di oltre un miliardo di euro e riserve più o meno della stessa entità. Una realtà che stride con quella brasiliana, con lavori in ritardo, otto vittime certificate nei cantieri e un malcontento che cresce. Il numero due del calcio, il segretario generale Jerome Valcke confessa che «meno democrazia è meglio per organizzare un Mondiale. Quando c’è un capo di Stato forte, come Vladimir Putin, tutto è più facile».

Ecco, siamo a questo, siamo al Grande circo scintillante che più o meno se ne frega della scia di povertà che trova tutto intorno e che anzi la avverte solo con un fastidio. Il mondo del calcio, quello vero, per fortuna ha sensibilità diverse ma può fare veramente poco, stretto come è nella morsa appena descritta. Ieri la Rousseff si è decisa ad ammettere che le proteste «sono contro di noi», forse in un disperato tentativo di dialogo subito vanificato dal ministro dello Sport, Aldo Rebelo, che ha dichiarato testualmente che «chi protesta è un ignorante». Ecco, in questo popò di caos, ci mancava solo un bell’autogol.

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