IL POPULISMO ANTI-CT E I COLPI BASSI

di STEFANO TAMBURINI Lo sapeva che sarebbe stato così ed è tutto fuorché sorpreso anche se infastidito. Il ct Cesare Prandelli lo sa che il confine fra un trionfo e un tonfo spesso passa per la cruna...
Di Stefano Tamburini

di STEFANO TAMBURINI

Lo sapeva che sarebbe stato così ed è tutto fuorché sorpreso anche se infastidito. Il ct Cesare Prandelli lo sa che il confine fra un trionfo e un tonfo spesso passa per la cruna dell’ago di un rigore all’ultimo minuto o di un colpo di genio del giocatore meno atteso. Lo sa e sa anche che da qui alla fine del Mondiale lui e gli altri 31 come lui saranno uomini soli e che dopo – per i più – ci saranno processi. Per questo non stupisce il tiro al piccione sulle scelte, da che mondo è mondo c’è sempre un Beccalossi (1982), un Pruzzo (ancora 1982), un Baggio (2002), un Gilardino (ancora 2002) o un Balotelli (2010) che resta a casa e trova una congrega di sostenitori pronta a dirne di ogni al ct di turno.

Stavolta, però, c’è qualcosa di più nella sia pur concentrata contestazione. Per carità, non sia mai che si debba esser per forza d’accordo sulle scelte del ct ed è giusto anche avanzare critiche. Ma Prandelli in questi frangenti ha avuto una sola caduta di stile, quando – di fronte all’amarezza di Domenico Criscito per la mancata convocazione – ha risposto con un «in fondo non ho mica lasciato a casa Paolo Maldini» del quale si è subito pentito chiedendo scusa. Il tono era sbagliato, la sintesi no, perché davvero a casa non sono rimasti fenomeni. Ma il comportamento del ct, per il resto, è stato più che lineare e onesto anche nei confronti di Giuseppe Rossi: ha provato a recuperarlo, poi ha dovuto arrendersi all’evidenza e ai test fisici. Tutto questo non ha però evitato il “tiro al ct” a prescindere. Il tifo c’entra solo marginalmente: in fondo Prandelli vive a Firenze ed è amatissimo. Ma, più che i consensi, a pesare sono le faide interne alla città di Guelfi e Ghibellini, con mai sopite antipatie nate ai tempi della militanza viola, quando crescevano gli applausi e non a tutti piaceva che fossero quasi esclusivi per l’attuale ct.

Così non è casuale che partano proprio da palazzi non troppo distanti da Coverciano attacchi finto populisti, veicolati da commentatori che – così per far capire da che parte stanno – hanno sensibilità agli antipodi del ct in fatto di rispetto delle regole. Insomma, quelli che hanno messo più di una vela al vento della disinformatia, gridano allo scandalo per uno stipendio troppo alto (molto più basso in realtà di quello che aveva alla Fiorentina o che potrebbe avere in un altro club) e scavano sulle scelte legate al codice etico non per migliorarlo ma per spazzarlo via. Sono quelli ai quali piace il calcio dei prepotenti, dei furbacchioni, delle vittorie con i gol in fuorigioco per armare i “Processi del lunedì” più triviali. Insomma, le storie di Pepito spedito a casa o dello stipendio del ct sono solo pretesti: a gente così non può piacere uno che predica lealtà e rispetto, uno che dichiara che la sfida «è cambiare questo calcio». E così i colpi bassi spacciati da lezioni di morale si sprecano.

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