Il re della Dakar che punta a Vale per lo sterrato

di Mauro Corno
Valentino Rossi ha detto che ha impiegato mezzora per trovare l’accordo con la Yamaha e firmare un contratto biennale: anche nel 2017 e nel 2018, quindi, parteciperà al campionato del mondo delle MotoGp con un bolide della Casa dei tre diapason. Quello che farà da “grande” lo deciderà soltanto tra due anni e mezzo, quando le primavere saranno quasi quaranta. Ma c’è già chi lo ha “prenotato”. Ed è un altro campione delle due ruote. Marc Coma, che per cinque volte ha vinto il Rally Dakar (la vecchia Parigi-Dakar, ndr), nella scorsa estate è passato dall’altra parte della barricata, diventando direttore tecnico della prestigiosa competizione che nella prossima edizione, in programma dal 2 al 14 gennaio del 2017, toccherà tre stati del Sudamerica, partendo da Asuncion, la capitale del Paraguay, per passare dalla Bolivia e avere quindi il suo epilogo a Buenos Aires, in Argentina. La kermesse, che giungerà al trentanovesimo capitolo, un autentico record di longevità, nel 2016 ha visto al via 559 concorrenti suddivisi in quattro categorie: moto, auto, quad e camion.
Pare di capire che il corteggiamento nei riguardi di Rossi sia già cominciato.
«Sì, lo ha detto anche lui che la Dakar lo stuzzica e mi ha fatto enormemente piacere. Sono sicurissimo che un fuoriclasse del suo calibro sarebbe competitivo anche sulla sabbia, sulla terra, sui sassi e anche sulle rocce su cui si sviluppa la gara e che saprebbe cavarsela in ogni situazione. Ha dimostrato talento innato su tutto quello che ha avuto modo di guidare, per cui non mi resta che rinnovare il nostro invito: potrebbe scrivere un’altra pagina importante della sua straordinaria carriera. Lo aspettiamo».
Con due o quattro ruote?
«Lui andrebbe veloce in qualsiasi caso. Però, alla luce dei tracciati da affrontare, forse esprimerebbe il suo potenziale ancora meglio con una macchina. Ho visto quello che è stato in grado di fare al Rally di Monza: davvero niente male».
Per adesso, però, Valentino continua a brillare nelle MotoGp.
«È un fenomeno. Si pensava che dopo le due annate in Ducati fosse iniziata la parabola discendente. Chi l’avrebbe detto che sarebbe tornato a vincere? E invece eccolo ancora qui a lottare per il Mondiale con ragazzi molto più giovani di lui, come i miei connazionali Jorge Lorenzo e Marc Marquez. Lavora, lavora e ancora lavora come se fosse al debutto, anche se invece ha messo di tutto nella sua bacheca personale. Ha tutta la mia ammirazione, come si fa a non stimare un campione del genere?».
Il finale del campionato dello scorso anno è stato davvero brutto.
«Per noi amanti degli sport motoristici è stata una sorpresa, di sicuro non gradevole: non siamo abituati a questo genere di situazioni. A me piacciono la gara e la competizione: vince chi va più veloce e le questioni extra-sportive non dovrebbero interferire. Ma per fortuna sembra si sia voltato pagina».
E Rossi è ancora lì a dare battaglia.
«Sono convinto che possa conquistare il suo decimo titolo. Se qualcuno aveva qualche dubbio, credendo che fosse scarico dopo quanto successo nelle ultime gare del 2015, ci ha pensato Valentino, a Jerez della Frontera, stando davanti a tutti da venerdì a domenica, a fugarlo. Anche in Francia ha mostrato tutto il suo valore. E la prossima gara sarà al Mugello, davanti al suo pubblico. Anche se in realtà tifano Rossi un po’ ovunque».
Valentino è apprezzato dappertutto ma anche lei, in quanto a estimatori, è sempre stato in pole position.
«Non scherziamo. Lui è veramente una superstar. Un parallelo tra di noi non può proprio esistere, io poi arrivo da un paesino con duemila abitanti, in Catalogna. Sono rimasto il ragazzo semplice di un tempo, dove vivo ci conosciamo tutti, ma appena giro l’angolo tutto è differente. Rossi è… mondiale».
Avete poco più di due anni di differenza (Coma è nato nell’ottobre del 1976): non si è pentito di avere smesso pochi mesi soltanto dopo avere vinto la sua quinta Dakar?
«No, era venuto il momento di farsi da parte: sono stato onesto con me stesso e con chi mi ha sempre supportato. E adesso sono molto contento di quello che sto facendo. È una bella sfida dare una mano nell’organizzazione di una gara di questo calibro. E visto che siamo in Italia, vorrei ricordare il grandissimo Fabrizio Meoni (vincitore della Dakar nel 2001 e nel 2002, ndr), un uomo che mi ha insegnato tantissimo e che purtroppo è scomparso nel 2005: quando ho iniziato era il top, mi ha fatto amare il deserto, e ho cercato di portare con me sempre il suo spirito».
Lei ha vinto la Dakar sia quando si correva in Africa e, più recentemente, in Sudamerica.
«Sono realtà molto diverse, sia per i tracciati sia, soprattutto, per le difficoltà alle quali si va incontro. L’albero del Ténéré, le Rocce degli Elefanti, le sponde del lago Rosa sono stati i simboli di questa sfida estrema nel Continente Nero. In Sudamerica i concorrenti hanno dovuto misurarsi con le incognite dell’altitudine, per esempio attraversando le Ande. D’altro canto bisogna essere in costante evoluzione e proporre ogni anno qualche novità. Esattamente come succederà nel 2017, con l’esordio del Paraguay, che diventerà il ventinovesimo Stato toccato dalla carovana. Novemila chilometri complessivi, con tre tappe della lunghezza di 450 km e una di addirittura 750 km. Ma anche con milioni di spettatori, sommando quelli sul posto a quelli che saranno raggiunti dalle immagini televisive.
E magari già con un Valentino Rossi in più al via.
«In effetti nel mese di gennaio il Motomondiale è fermo. O sbaglio?».
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