La voce della terza linea

L’ex azzurro debutta come commentatore: «Emozionato come per una partita»
Di Lara Loreti

Per venti anni è stato un leone in campo e un camino nello spogliatoio, pronto a tenere salda la mischia e prendere il volo verso la meta durante le partite, e a scaldare il morale dei compagni nei momenti più duri. Mauro Bergamasco, grande campione del nostro rugby, torna in Nazionale ma in una veste nuova, quella di commentatore del Sei Nazioni, al via oggi con l match che vede protagonista l’Italia in terra francese. È lo stesso atleta, padovano di 36 anni, a rivelarci i particolari della nuova avventura che lo vede protagonista negli studi di DMax (canale 52) che trasmetterà tutte le partite del torneo in chiaro (le cinque dell’Italia anche su Deejay tv sul canale 9).

Lei è un veterano del XV azzurro, ma quello in tv è un esordio. Come lo vive?

«Sono ansioso di cominciare e di vedere come funziona. Per me inizia un nuovo capitolo della carriera, sempre legato al rugby, ma con un ruolo diverso. È pur sempre una prima volta, e la vivo come se fosse la prima partita in campo. La tecnica individuale è tutto, anche se sei in studio al commento».

Come la vedranno i suoi fan? Lo dica con una parola.

«Diplomatico! No scherzo, non ce la farei. L’importante è essere corretti e godersela. Dovrò provare a divertirmi stando dall’altra parte rispetto ai giocatori».

Quale sarà esattamente il suo ruolo?

«Io sarò ospite fisso in studio nella trasmissione “Rugby social club” che precederà e seguirà ogni partita con interviste e commenti. Con me ci saranno anche Daniele Piervincenzi, Paul Griffen, Chef Rubio, Maria Beatrice Benvenuti, Vittorio Munari e Antonio Raimondi. Io farò da supporto tecnico, ma anche emozionale».

In che senso?

«Cercherò di trasferire al pubblico le sensazioni, i pensieri, la fatica, le arrabbiature di chi sta in campo. I ricordi sono molto recenti, mi sento ancora uno del gruppo, con la differenza però che a questo giro le botte se le prendono loro!».

In questo potrà contare sull’appoggio di Griffen, suo ex compagno di squadra.

«E direi proprio di sì! Paul è sempre stato un ottimo giocatore e una persona eccezionale fuori dal campo, tra noi c’è stata coesione. E poi con lui le battute si sprecano, ne abbiamo passate talmente tante...».

Ci racconti un aneddoto o un episodio.

«Ce ne sarebbero tanti, ma non si possono dire! Posso solo accennare che una volta a Genova facemmo un brutto scherzo alle matricole, una vera goliardata».

Il rubgy è uno sport molto amato, ma il Sei Nazioni lo è in modo particolare. Cos’ha di speciale questo torneo?

«Il rugby ha la capacità di spiegare la vita. È una metafora dell’esistenza: in campo riesci a decifrare i caratteri delle persone. Quanto al Sei Nazioni, ha un suo valore aggiunto, che spinge le persone ad andare allo stadio e seguire l’Italia ogni anno, anche se ha sempre vinto poco. Il bello del torneo è che sa sorprendenti, anche se ci sono sempre le stesse squadre: nessuna edizione è uguale alla precedente, non si sa mai chi vincerà fino all’ultimo e i giocatori riescono a far vivere momenti unici».

Le piacerebbe allenare?

«È presto per dirlo, sicuramente il rugby sarà parte del mio futuro, e in questo mi incoraggia mio fratello Mirko».

E l’amore?

«Va bene e chissà, forse arriveranno anche nozze e figli».

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