L’agonia degli ex campioni

Prigioniero della riconoscenza. Per essere più chiari del suo amore per chi lo aveva accompagnato verso la conquista del titolo mondiale del 1982 in Spagna, il primo dell’era moderna. Sì, Enzo Bearzot tardò nel puntare a un necessario rinnovamento e così, quella del 1986, passerà alla storia come una fra le presenze più insignificanti.
I Mondiali si giocarono in Messico per la forzata rinuncia della Colombia, ancora in ginocchio per il disastroso terremoto dell’anno precedente. Quella messicana fu un’onta difficile da cancellare, il solo a salvarsi fu Bearzot, uno fra i ct più amati di sempre. Il disastro messicano veniva da lontano. I campioni uscenti avevano la qualificazione assicurata e per questo per quattro anni l’Italia visse senza gli stimoli di una partita vera. Gli azzurri riuscirono addirittura a non qualificarsi per la fase finale dell’Europeo del 1984 in Francia. Il filotto delle delusioni si concretizzò con il penultimo posto del gruppo 5 di qualificazione: pareggi con Cecoslovacchia, Romania e a Cipro, sconfitte in Romania e in Svezia e dopo un 3-0 alla Grecia addirittura il tracollo di Napoli (3-0) con la Svezia e in Cecoslovacchia, fino all’inutile 3-1 con Cipro.
La confusione regnava sovrana ed è ben simboleggiata dallo stucchevole andirivieni fra i portieri del dopo Zoff: da Paolo Conti a Ivano Bordon, dal romanista Franco Tancredi fino al fiorentino Giovanni Galli, senza mai dar fiducia al giovane Walter Zenga, il più bravo di tutti. E in Messico? Il portiere sarà sempre un frastornato Galli dopo un estenuante e insensato ballottagio con Tancredi (e Zenga a fare il turista fra le turiste...); la formazione d’avvio (Italia-Bulgaria 1-1) prevederà anche: Bergomi, Cabrini; Bagni, Vierchowod, Scirea; Conti (Vialli dal 65’), Bagni, Galderisi, Di Gennaro, Altobelli e i risultati aggiungeranno nella fase eliminatoria l’1-1 con l’Argentina e il sudato 3-2 che scongiura (stavolta contro i sudisti) una nuova Corea. Quindi, negli ottavi, dopo la risicata qualifica, un 2-0 da parte di una Francia con i gol di Michel Platini e Yannick Stopyra. Enzo Bearzot scelse per la sua ultima da ct Galli; Bergomi, Cabrini; Giuseppe Baresi (Di Gennaro dal 15’), Vierchowood, Scirea; Conti, De Napoli, Galderisi (Vialli dal 57’), Bagni, Altobelli. Al di là del 2-0 fu una lezione di calcio: la Francia ci rispedì a casa, quanto più non sarebbe stato possibile, con le classiche pive nel sacco. Da salvare rimase ben poco. Certamente i quattro gol segnati da Spillo Altobelli (il quinto fu un’autorete) e poco altro. Certo, ripetersi quattro anni dopo un Mondiale come quello di Spagna sarebbe stato pretendere troppo ma uscire dopo aver dato l’impressione di essere lì da reduci fu umiliante.
L’Italia campione del mondo aveva smesso di esserlo ancor prima di giocare. Vinse l’Argentina di Carlos Bilardo battendo in finale la Germania Ovest per 3-2. Memorabile resterà il gol – forse il più bello di sempre – di Diego Armando Maradona all’Inghilterra: scartò mezza squadra e quella rete ebbe un grande valore simbolico, a ridosso com’era della guerra delle Falkland-Malvinas, le isole contese fra le due nazioni e che avevano scatenato una sfida ben diversa da quella risolta con un dribbling dopo l’altro. Quella era la guerra.
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